Il
sogno di Lisistrata
è uno spettacolo dalle forti suggestioni, sintesi
lineare di stili diversi. Qui la commedia umana fluisce
e diventa forma, rappresentazione.
La vita può essere danza da cabaret, con smoking
e cappello a cilindro; un coro di burattine vestite
di rosso e di bianco; la veste candida di Lisistrata
che si tende fino a generare un figlio, che si tinge
di rosso per generare la morte della guerra. Scale
da scendere, da salire, l'anelito al sacro, l'ironia
del profano e delle sue pantomime falliche, piroette,
baruffe, travestimenti, fino allo scioglimento finale
della tensione. Se il teatro è azione, il fascino
del teatro greco risiede in quell'altare laico in
cui si celebra la vita: il palcoscenico, con le sue
origini divine, lo sguardo indulgente verso le cose
umane. Danza e canto, parole e azioni.
La storia è la contrapposizione tra guerra
e pace ai tempi di Sparta e Atene. Lisistrata, volitiva
donna ateniese, convoca le concittadine e le spartane,
invitandole a fare lo sciopero del sesso con i propri
mariti, per costringerli a desistere dalla guerra.
La polìs greca, la pace civile, sono argomenti
ricorrenti nelle commedie di Aristofane, commediografo
greco del V secolo a.C. che scrisse "Lisistrata"
in occasione delle celebrazioni delle Leunee, feste
gennaio in cui si rappresentavano opere a carattere
locale.
Sacro e profano si alternano in questa commedia. La
sacralità della pace viene attuata in modo
profano: il testo è pieno di riferimenti erotici
impliciti e espliciti, cialtronerie, di uomini che
corrono piegati a causa della loro difficoltà
a praticare la continenza sessuale.
La regia di Stefano Artissunch propone un quadro sintetico
della commedia greca e delle arti visive moderne.
"Archeocabaret": così lo definisce
il regista-attore, con qualche incursione nella commedia
dell'arte e nelle comiche alla Buster Keaton. La commedia
greca è nella gradinata del palcoscenico, nella
presenza di quattro attori, nel coro interpretato
da burattini, nel regista/commediografo che introduce
l'azione nel prologo e sottolinea i momenti salienti
della commedia, farsa in cui gli interpreti prendono
in giro se stessi, vivendo i personaggi da dentro
e da fuori.
Lisistrata (Iaia Forte) si erge altera e solenne,
come una statua greca. La sua recitazione è
meno rifinita e precisa degli altri tre interpreti,
poco teatrale e più cinematografica. L'interpretazione
fisica è più convincente della voce.
Pur essendo la protagonista, viene oscurata dal regista-attore
Stefano Artissunch: mimo, maschera della commedia
dell'arte, un po' Pulcinella un po' Bob Fosse (regista
di "Cabaret"). Artissunch e' versatile,
ora pubblico ufficiale, poi araldo spartano e ateniese,
o filosofo che ammonisce, sottolinea e deride gli
umani.
Gli altri due attori (Stefano Tosoni e Gian Paolo
Valentini) interpretano buffoni pasticcioni, il coro
dei vecchi e delle donne, Mirrina e il marito arrapato
Cinesia. Particolarmente bravo Tosoni: energetico,
coinvolgente, non perde mai la tensione, mai uno sguardo
disattento dal personaggio.
La regìa è moderna, gioca con il femminile
e il maschile, come se gli interpreti fossero solo
dei corpi. Non importa il sesso di appartenenza, gli
attori sono puri veicoli di comunicazione del sacro
e del profano, del teatro e della vita umana. La scenografia
è stilizzata, attenta nell'uso sapiente dei
colori, fatta di oggetti che non sono solo decorativi,
prendono vita e diventano il testo. Nulla è
lasciato al caso.
Spettacolo suggestivo, felice vortice e unione del
teatro antico e moderno magari con un titolo un po'
diverso, per non confonderlo con "Il Sogno di
Ipazia" di Carlo Emilio Lerici.
[deborah ferrucci]