“Siamosolonoi”
di Marco Andreoli mette in scena la storia di un amore. Che
sia reale o immaginario, che sia verso qualcun altro o verso
una parte di sé, poco importa. L’amore del quale
parla la pièce è un amore claustrofobico, malato,
possessivo e ossessivo. Michele Riondino e Maria Sole Mansutti
sono Savino e Ada, due bimbi (vestono e parlano da bambini)
che si rincorrono nell’enorme cucina, che si raccontano
storie e che giocano “alla vita”. A far loro compagnia
una grande bolla di vetro con dentro un pesce rosso, chiamato
Siamosolonoi, regalo di Ada a Savino per il suo compleanno.
Lo spettacolo è un insieme,
un po’ confuso, di piani e significati. Da una parte
c’è Ada con le sue certezze, i sogni di bambina
che si vede già donna e mamma e per la quale la vita
è questo: crearsi un nido dal quale non uscire più,
un nido che sia tutta la sua vita. Savino invece ha voglia
di libertà, guarda la finestra, vorrebbe uscire fuori
a vedere il mondo. Su tutto aleggia un velo di mistero, rappresentato
da qualche macchia di sangue e da due piedi di un uomo (morto)
che sbucano da un lenzuolo. I discorsi dei protagonisti sono
veloci scambi di battute che dal mondo dell’infanzia
si spostano a quello degli adulti col semplice gesto di un
fiocco che si trasforma in cravatta. Chi sono in realtà
Savino e Ada? Questo la pièce non lo svela, forse lascia
spazio alla libera interpretazione dello spettatore.
Il tutto, in realtà, risulta
alquanto confuso sebbene si possa delineare almeno la divisione
in due parti dello spettacolo: la grande cucina come luogo
chiuso di una grande casa, ambiente in cui si svolge la quotidianità
delle azioni di una coppia; ma anche la cucina come porta
aperta sul mondo, che fa capolino dalle ante che pian piano
si aprono e portano immagini dall’esterno. Di chi sono
i piedi che sbucano dal lenzuolo? È un cadavere vero?
Un uxoricidio o solo una parte di sé, magari la propria
infanzia, che muore e che lascia il posto a una nuova vita?
“Siamosolonoi”
pecca in eccesso: la regia è invadente, le parole troppe
e spesso superflue e mettono in secondo piano anche la buona
volontà e bravura degli attori. È come se, per
stupire, si sia perso di vista il senso della storia e della
sua rappresentazione. Un obiettivo mancato.
[patrizia vitrugno]