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Autore:
Giorgio Albertazzi da William Shakespeare e Duke Ellington |
Regia:
Giorgio Albertazzi |
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Luci:
Marco Palmieri |
Costumi:
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Musiche
originali e arrangimaenti:
da Duke Ellington Marco di Gennaro |
Interpreti:
Giorgio Albertazzi, Serena Autieri con la partecipazione
di Amii Stewart, Margherita Ramella
Musicisti: Andy Gravish (tromba),
Tony Cattano (trombone), Paolo Farinelli (sax alto, flauto),
Maurizio Giammarco (sax tenore), Pietro Ciancaglini (contrabbasso),
Andrea Nunzi (batteria), Marco di Gennaro (pianoforte) |
Anno
di produzione:
2009 |
Genere:
recital musicale |
In
scena:
fino al 25 Ottobre al Teatro Il
Sistina di Roma |
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Ha
aperto la stagione del Teatro Sistina ma Albertazzi
col suo Shakespeare in Jazz
non fa centro. E non è sua la colpa, o meglio
la responsabilità. Lui è sempre grande,
istrionico, cavalca le parole di Shakespeare come
se fossero le sue. Le mastica con maestria e le dona
al suo pubblico con la naturalezza che gli è
propria. L’operazione, di per sé interessante,
di unire il drammaturgo inglese con la musica jazz
di Ellington risulta poco amalgamata: i due presupposti
restano tali, non si sposano mai, si toccano ma non
si comprendono.
Albertazzi è superbo quando veste i panni di
Giulio Cesare, immaginifico quando dà voce
ad Amleto, insuperabile nelle sembianze di Otello.
E ancora un Antonio schiavo d’amore per la bella
Cleopatra e ingenuamente innamorato come Romeo.
Le sue due compagne d’avventura però
non riescono a fargli adeguatamente da spalla sicché
l’intero spettacolo soffre di continui tagli,
cadute di ritmo nonostante il buon accompagnamento
musicale dell’orchestra composta da sette musicisti
jazz coordinati e diretti dal maestro Marco Di Gennaro
(autore anche degli arrangiamenti).
Le primedonne sono quasi sempre al buio e l’intero
disegno luci sconta il prezzo di prove forse un po’
troppo frettolose e comunque priva lo spettacolo dei
suoi stessi protagonisti.
Il risultato è esattamente diviso e divisibile
in due parti. Da un lato un grande del teatro, sempre
brillante anche se seduto su una sedia che, da solo,
riempie un palco che, nonostante una scenografia abbastanza
imponente, risulta vuoto perché oscurato dal
suo carisma. Dall’altra Amii Stewart (splendida
nei suoi frequenti cambi d’abito scintillanti)
ottima interprete, una voce calda, sicura e che, sebbene
convinca poco come attrice, è sempre più
in parte dell’altra primadonna, Serena Autieri.
Quest’ultima è fredda e senza anima anche
quando prova a cantare. Unica nota di coraggio la
prova di Margherita Ramella, il paggio che fa da raccordo
agli sketch dei protagonisti: precisa, convincente
e presente in tutti i suoi momenti.
Sarebbe potuto essere un coraggioso esperimento di
commistione, originale e sorprendentemente attuale.
È stato un lungo spettacolo, con poca verve
e tanti – forse troppi – errori da dilettanti.
[patrizia vitrugno]
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