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Anno
2013
Genere
dramma
In
scena
Teatro Argentina | Roma
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Autore |
Elsa
Morante |
Regia |
Mario
Martone |
Scene |
Mario
Martone |
Costumi |
Ursula
Patzak |
Luci |
Pasquale
Mari |
Musica |
Nicola Piovani |
Interpreti |
Carlo
Cecchi, Antonia Truppo, Angelica Ippolito, Rino Marino,
Giovanni Calcagno, Salvatore Caruso, Dario Iubatti,
Giovanni Ludeno, Rino Marino, Paolo Musio, Franco Ravera,
Victor Capello, Vincenzo Ferrera, Totò Onnis |
Produzione |
Teatro
di Roma, Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro
Stabile delle Marche |
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Quando
alla vigilia del fatale 1968 Elsa Morante (1912-1985) scrisse
“La serata a Colono”,
suo primo e unico testo teatrale, Pier Paolo Pasolini aveva
appena terminato le riprese dell' “Edipo re” e il
mondo era ben lungi dall’essere salvato dai ragazzini.
Cupa e visionaria, forte di un ritmo verbale di una densità
disarmante, questa tragedia senza tempo ha dovuto attendere
quasi mezzo secolo, punteggiato da una serie interminabile di
tentativi abortiti, prima che Mario Martone e Carlo Cecchi si
impegnassero a metterla in scena. Uno dei testi più ardui
del Novecento italiano:una sorta di sfida a cui mostri sacri
della statura di Eduardo De Filippo, Carmelo Bene e Vittorio
Gassman furono costretti a rinunciare.
Primi anni Sessanta.
Nel reparto di psichiatria di un ospedale del meridione viene
ricoverato un uomo bendato, sedato dai barbiturici, accompagnato
da una figlia leggermente ritardata che si esprime in un dialetto
con assonanze ciociare, creatura fedele e remissiva da lui
chiamata Antigone. Risvegliatosi da un agitatissimo sonno,
inchiodato alla barella come un Cristo, questa logorroica
reincarnazione di Edipo si perde in un monologo delirante,
declamato in un linguaggio colto e ricco di rimandi alla Bibbia,
all’Inno ebraico dei Morti, ad Holderlin e perfino ad
Allen Ginsberg. Alle parole, come alla sofferenza fisica risponde
un coro di alienati, disseminati in platea. Come nella tragedia
di Sofocle, il viaggio terreno di questo ex regnante macchiatosi
di parricidio e incesto si conclude al culmine del dolore
e dell’orrore con le Erinni che lo liberano dal male,
aprendogli le sette porte colorate del Sufi.
Carlo Cecchi, pronto
a vestire i panni di questo Edipo sfinito e claudicante già
nel 1992, ai tempi della lavorazione di “Morte di un
matematico napoletano”, si esibisce in una notevole
prova d’attore: per un’ora e mezzo recita con
gli occhi bendati, in posizione orizzontale, senza sbagliare
una parola. Al suo fianco un’ottima Antonia Truppo nella
parte di Antigone trasandata come una zingarella rinchiusa
in uno slang privo di punteggiatura. Nel cast anche Angelica
Ippolito, nel ruolo della suora che, nel finale dell’opera,
somministra la pozione della buona morte a Edipo. La regia
di Martone trasforma il ruolo del coro, trasferendolo in mezzo
agli spettatori e, a sorpresa, spazza l’oscurità
della scena facendo alzare il vessillo luminoso di Febo, il
Dio Sole tanto avverso a Edipo, in una sorta di trionfo del
dolore. In scena un tastierista e un percussionista accompagnano
il protagonista e il coro degli alienati suonando dal vivo
le musiche scritte da Nicola Piovani. Le luci, calibrate con
sapienza su un palco dominato dall’essenziale, si accendono
come a sottolineare l’irruzione della morte, protagonista
neanche troppo occulta di un testo che vive di mistero e di
impenetrabilità.
[valerio refat]
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