Sfida
difficile quella di adattare la novella di Camillo
Boito “Senso”
a teatro. Come dimenticare le immagini del film di
Luchino Visconti con Alida Valli come protagonista?
La versione teatrale propone una dimensione tragica,
gotica, decadente in cui l’azione si svolge
tra la Seconda guerra mondiale e gli anni ‘60.
La scenografia è composta da figure spettrali,
riflettenti le inquietudini interiori della protagonista,
la contessa Livia Serpieri, che condivide con il pubblico
la storia di donna tradita dall'amante che a sua volta
tradisce, facendolo arrestare e fucilare dai nazisti
per vendicarsi del torto subito.
Il
testo è ben scritto, anche se risulta un po’
confuso lo sfondo storico. La donna di questa versione
ha un solo colore, il grigio: nelle vesti, nell’interpretazione
e nel dolore che rappresenta.
La
recitazione della protagonista si potrebbe definire
“mucciniana”, sospirata quasi a soffocare
il testo, a farne perdere il significato e la bellezza.
Non ci sono variazioni di tono, persino quando la
contessa Serpieri, in preda alla passione folle per
il suo giovane amante, è disperata, ossessionata
dai sensi di colpa.
Il
cuore di una donna ha mille colori, questa ne ha uno
solo. Peccato. Sarebbe stato interessante vedere la
trasformazione da donna innamorata a tradita, la disperazione
sarebbe stata più credibile. Non si percepisce,
invece, l’estrazione nobiliare della protagonista
nel modo di camminare, di vestire. Bastava un particolare
trasandato su una figura elegante e sarebbe stato
più chiaro al pubblico chi fosse la protagonista;
un po' come Alessandro Manzoni che, descrivendo la
monaca di Monza, evidenziava quel ciuffo di capelli
che usciva dal velo, quale simbolo di una personalità
deviante. Isabella Giannone si impegna, ma non cattura
il pubblico, come se si sentisse fuori ruolo. Interessante
l’idea, ma lo spettacolo andrebbe rivisto.
[deborah ferrucci]