Dalla
Prenestina al Sistina. Il percorso, tutt'altro che
semplice, ha portato Maurizio Battista a cimentarsi
con la platea di uno dei più amati teatri della
capitale. Tempio sacro della commedia musicale, nei
suoi camerini (a detta dello stesso interprete) risuonano
le voci e le presenze ancora vive dei maestri Garinei
e Giovannini.
Coraggiosa scelta, quella di un comico, di accettare
la sfida del Sistina anzi, addirittura dell'inaugurazione
di una stagione. Il suo è uno spettacolo che
sa di arena estiva: un po' improvvisazione, un po'
aneddoti sul tipo capitolino, un po' ricordo di un
passato difficile e del sogno (realizzato?) di chi
si è fatto da sé.
Diciamo la verità: Battista coinvolge, fa ridere,
ha la battuta pronta, è un comico da cabaret.
Ma perché il Sistina ha scelto di aprire la
stagione con uno spettacolo che (nonostante il titolo),
la cantina non l'ha ancora definitivamente abbandonata?
A Roma la sua comicità conquista: tra il romanesco
e gli episodi tipici della città, le due ore
e mezzo trascorrono lievi. Quanto potrà coinvolgere
invece eventuali spettatori che poco hanno a che spartire
con la romanità?
Al di là delle imperfezioni, imputate non solo
all'imprevedibilità e all'emozione della prima,
come più volte sottolineato dallo stesso Battista,
lo spettacolo soffre di evidenti limiti. Tutto sembra
essere insufficiente agli spazi e alle aspettative:
poco provato o forse poco pensato? Il Sistina, per
un comico che ha buone capacità, non è
un traguardo: è piuttosto una dura prova da
superare per abbracciare un pubblico più vasto.
Questo, nello spettacolo che ha debuttato il 21 settembre,
manca vistosamente. E non è l'unica carenza.
È mancato il coraggio di fare quel passo in
avanti per staccarsi definitivamente dalla cantina;
è mancata la professionalità per costruire
uno "one man show" degno di un teatro vero.
E, per quanti amano il Sistina, è mancata la
vecchia cara atmosfera di grandezza che solo quel
teatro sa regalare. [patrizia
vitrugno]