Sei gradi


Anno
2012

Genere
monologo

In scena
fino al 17 marzo
Sala Umberto | Roma

Autore
Giobbe Covatta,
Paola Catella
Regia
Giobbe Covatta
Scene
Francesco Margutti,
Mirella Capannolo
Costumi
CHiara Defant
Luci
Francesco De Vecchis, Dino Iovanniti
Interpreti
Giobbe Covatta, Mario Porfito, Ugo Gangheri
Produzione
L’Uovo Teatro Stabile di Innovazione L’Aquila

 

Come sarà il Pianeta Terra nel 2113? Con sei gradi in più di temperatura e un po’ più vecchiotto; lo scioglimento dei ghiacciai farà sprofondare i Paesi del Sud, mentre gli europei si sposteranno in massa verso il Polo Nord. E in Italia? Ci sarà «il Kamasutra per anziani», tra dentiere e cedimenti strutturali; finalmente si farà la legge elettorale e qualche sindaco munito di pala e caschetto sarà costretto a lasciare la città del Cupolone e ad emigrare in Trentino. Per il resto l’umanità non sarà molto diversa, le donne saranno sempre multi tasking anche con la febbre a 40 gradi e perennemente indaffarate (come non visualizzare la mitica vignetta di Mordillo della donna che oltre ai panni stende pure il marito?); gli uomini sverranno per una lieve temperatura.

Sei gradi”, lo spettacolo di Giobbe Covatta, è un girotondo, un gioco, un’amichevole conversazione con il pubblico su temi importanti come lo smaltimento dei rifiuti o le sirene del mercato che fanno affondare il Titanic con l’umanità dentro.

Il comico partenopeo guida per mano la platea, in un viaggio nel futuro, che potrà essere un sogno o un incubo a seconda di quanto rallenteremo il vortice dello sviluppo inutile. È ironico con grazia, accarezza le parole, non urla mai. Diverte con rispetto e con l’ascolto del pubblico. Mancano solo degli accenti qua e là per non perdere il gusto delle parole, il rincorrersi delle battute, per dirla alla Peter Brook: «Quando i fili non sono ben tesi, non è possibile riconoscerne la forma». Anche Covatta dovrebbe fare una pausa qua e là: il ritmo sarebbe garantito lo stesso, visto che il testo è scorrevole e interpretato con scioltezza. Grazioso e simpatico il ritratto di un Gesù hippy, che si fuma una canna con i dodici apostoli, dubbioso se ritornare sulla Terra a sistemare le cose che gli uomini stanno rovinando, dato il trattamento riservatogli l’ultima volta: «Quelli mi mettono in croce». Il finale è un unico abbraccio: Covatta, i sei gradi in più e il pubblico. [deborah ferrucci]