|
Anno
2012
Genere
commedia
In
scena
fino 28 ottobre
Stanze Segrete | roma
|
Autore |
Arianna
Di Pietro |
Regia |
Annalisa
Biancofiore |
Luci |
Claudio
Amadei |
Interpreti |
Anna
Graziano,
Saleh Tawil (liuto e voce), Emanuela Maccioni (percussioni) |
Produzione |
L’Ipprogrifo |
|
La
parola “eros” dovrebbe essere una garanzia, giacché
evoca alcove, luci soffuse, movimenti sinuosi e lenti, l’arte
di amare. Tuttavia l’arte ha bisogno di armonia, di accordi
che si fondano, soprattutto quando è il frutto dell’interpretazione
di tre personaggi in scena. Non importa se la protagonista è
l’attrice (Anna Graziano): i cantanti, i musicisti, sono
parte dello spettacolo, non sono ammesse iniziative personali,
altrimenti la scena implode. “I sapori dell’eros
– Le mille e una notte”, in scena al Teatro Stanze
Segrete percorre invece la strada individualista. E inciampa.
Alcune idee interessanti non bastano a salvare lo spettacolo.
Come far interagire con il pubblico la figura di Sherazade -
narratrice/concubina del re nel romanzo più conosciuto
della letteratura araba - attraverso la danza del ventre, l’offerta
al pubblico di pasticcini e tè alla menta (indora la
pillola?), accompagnata dal liuto e da parole in lingua originale.
Tutto bello, ma bisogna fare i conti con la realtà. Lo
spazio è piccolo, raccolto, non c’è la parete
tra scena e pubblico, l’attrice dovrebbe fissare lo sguardo
su persone di riferimento nei dialoghi, invece la narrazione
perde forza e non si capisce a chi è rivolta. La voce
calda dovrebbe seguire movimenti abbandonati, quasi lascivi,
dovrebbe narrare non interpretare un personaggio, meglio saltare
una battuta che perdere lo sguardo del pubblico. Il musicista
(Tawil) suona bene, ha una bella voce, ma talvolta legge le
battute, incespica nella pronuncia, è poco credibile
con gli occhiali da vista (fa molto l’attore indiano Bakshi,
interpretato da Peter Sellers nel film “Hollywood
Party”). A poco serve il costume d’epoca,
manca lo sguardo teso di chi sta sulla scena (spostarlo al posto
della percussionista, lontano dalla vista ma non dall’ascolto?).
Complici anche le luci troppo forti, l’atmosfera non si
scalda, forse perché si avvertono dissonanze, con risultati
a tratti involontariamente comici.
Il testo
è scorrevole, anche se è opinabile la scelta
di usare in chiusura i versi di una poesia di Nâzim
Hikmet resa famosa dal film di Ozpetek “Le
fate Ignoranti”: troppo conosciuta.
Per non parlare del finale in cui la percussionista (Emanuela
Maccioni) si allontana alla chetichella, mentre dovrebbe ringraziare
con gli altri. Il regista teatrale è un po’ un
domatore di leoni; Annalisa Biancofiore si deve far sentire
di più… A costo di scontentare qualcuno. L’eccellenza
è il risultato del possibile, non dell’ideale.
Da rifare da capo.
[deborah ferrucci]
|