Ritratto di signora - Frida Kahlo – En los brazos de su hermana


Anno
2012

Genere
drammatico

In scena
fino al 22 aprile
Teatro Stanze Segrete
Roma

Regia
Annalisa Biancofiore
Luci
Claudio Amadei
Interpreti
Giulia Adami,
Valeria Loprieno
Produzione
L’Ippogrifo

 

«La fedeltà è una virtù borghese», ricorda amaramente Frida Kahlo (Giulia Adami) citando un’affermazione del compagno, il pittore messicano Diego Rivera.
Dialogo danzato e cantato tra Frida e la sorella Cristina (Valeria Loprieno) che ripercorre i sette anni d’amore tra i due pittori, un «ponte troppo piccolo» per contenere l’amore della pittrice messicana.
"Ritratto di signora - Frida Kahlo – En los brazos de su hermana" è un diario intimo, come recitano le note di regia, lontano dallo sguardo fiero degli autoritratti, dalla violenza dei suoi colori, incandescenti come il dolore causatole dall’infermità fisica prima, dall’amore infedele di Diego poi. I patimenti non terminano qui: Frida è doppiamente tradita da Diego con sorella Cristina, anche lei amante del suo uomo e madre di un suo figlio.
Nella rappresentazione scenica, Cristina è una ballerina-alter ego che ripete i suoi gesti, le sussurra parole come fosse la sua coscienza, danza con lei in un vortice dolce e amaro. Come separare l’amore fraterno da quello per un uomo? Forse non si può. Frida accetta il dolore e ricorda un’infanzia in cui sognava di essere leggera come una farfalla, pur avendo delle gambe inferme che la costringevano a letto. Il doppio deve essere stato un tormento per l’artista dalle trecce raccolte: la leggerezza della fantasia e la durezza della realtà.
L’intensità con cui Frida ama Diego equivale al dolore che soffre per la mancanza di «lealtà», come se si potesse essere infedeli e leali.
Il testo è ben scritto e alcune frasi restano scolpite nella mente. L’interpretazione dolce e malinconica di Adami sorprende, è così lontana dai tratti nitidi dei quadri di Kahlo e dalla sua iconografia; ma quella è l’immagine, nel dolore le donne si somigliano tutte, si colpevolizzano, si trovano dei difetti, più accettabili di una verità che non possono cambiare.
La regia e le interpreti dosano bene i silenzi, così pieni e intensi da riempire l’aria del piccolo teatro Stanze segrete. Tuttavia, alla fine si avverte la sensazione di aver assistito ad un dolore solitario, come se lo spettacolo non fosse riuscito a coinvolgere completamente il pubblico. Forse manca un’intimità condivisa, altrimenti il rischio è un «senso egocentrico e narcisista», per citare le dichiarazioni della scrittrice americana premio Nobel, Toni Morrison.
[deborah ferrucci]