Quanto
può essere unita una famiglia? Quanto può sopportare?
Cos’è, alla fine, una famiglia? Nella provincia
bergamasca una figlia ritorna a casa. La sua famiglia la accoglie
e subito si comprende che è stata via a lungo. Il perché
del ritorno lo si scopre gradualmente: tassello dopo tassello
si costruisce la vita di questo microcosmo, che è anche
specchio di una società e di una provincia dedita al
lavoro. Un padre (Renato Sarti), una madre (Milvia Marigliano)
e due figli (Alex Cendron e Arianna Scommegna): quattro persone
sole, piegate dai dolori di una vita difficile e ingiusta.
Il ritorno della figlia
dovrebbe essere un momento di gioia, invece riapre vecchi
rancori mai sopiti. Il freddo dell’inverno è
quello delle loro anime: anche se sono passati molti anni,
niente è cambiato. La madre è una donna ansiosa,
incapace di perdonare al marito di essere stato la causa della
deriva della figlia e impossibilitata ad avere un rapporto
sereno con il figlio. Il padre, ex operaio comunista, poi
dirigente di un’impresa immobiliare che vive di caporalato,
è l’unico ad essere cambiato: è assente,
perseguitato dai fantasmi del passato, parla da solo e l’unico
sfogo è di notte, quando spiega ai vivi e ai morti
le proprie ragioni. La figlia ritrova una casa senza amore,
dissidi interni mai risolti anzi esacerbati dalla tragedia
che, per causa sua, si è abbattuta sulla famiglia.
“Il
ritorno” di Sergio Pierattini è
un testo forte che la regista Veronica Cruciani sposa completamente.
Uno dei rari casi di completa aderenza tra parola scritta
e scelta visiva. Pochi gli elementi messi sulla scena: qualche
sedia per accogliere i dialoghi dei protagonisti che si alternano
svelando pensieri e pezzi di storia e due muri della casa
a segnare il perimetro di una stanza che è di volta
in volta cucina, soggiorno, camera da letto. Ai margini della
scena una panchina sulla quale, in penombra, siedono gli attori
non coinvolti in prima persona. Uno spaccato di vita di provincia
che a tratti assume toni tragicomici.
La profondità dello
spettacolo si poggia sulla bravura di tutti gli attori che
plasmano il testo sulle proprie peculiarità e che,
con poche e semplici scelte registiche, rendono viva e reale
la scena. La parola è esaltata e il testo è
il protagonista.
[patrizia vitrugno]