Valter
Malosti ha riunito in un unico spettacolo i quattro
atti profani di Antonio Tarantino. Esperimento coraggioso,
forse addirittura presuntuoso. Ma la bravura di questo
giovane regista è ormai conosciuta e l'operazione
ha meritato il premio Ubu 2009 come migliore regia.
La tetralogia di Tarantino racconta le storie degli
emarginati: i malati di mente, gli omosessuali, le
prostitute. I quattro atti seguono quindi un filo
conduttore che li lega e li trasforma in lunghi monologhi,
che si intrecciano e narrano le vite allo sbaraglio
dei protagonisti. In una discarica nella periferia
di Torino svettano tre pali del telegrafo a ricordare,
forse, un moderno Golgota. Crocifissi sono le solitudini
dei protagonisti, ognuno a suo modo solo nella battaglia
del vivere quotidiano.
A fare da raccordo tra le quattro storie il regista
sceglie lo “Stabat Mater” magistralmente
interpretato da Maria Paiato, una barbona che inveisce
per l'arresto del figlio, sospettato di azioni sovversive
e che da sola vale tutto lo spettacolo. Malosti sceglie
per sé la parte del matto che si crede Gesù
in “Passione secondo Giovanni” ma complessivamente
risulta il momento meno convincente di tutto lo spettacolo:
poco ritmo e qualche lungaggine di troppo, rendono
l’intero pezzo faticoso e macchinoso. Emozionante
la coppia di “Lustrini”: Michele Di Mauro
e Mariano Pirrello sono due vagabondi che aspettano
un ricco primario ospedaliero, per combinare un losco
affare e riuscire a guadagnare quattro soldi. Mauro
Avogadro in “Vespro della Beata Vergine”
è, infine, il padre di un travestito che dialoga
col corpo del ragazzo morto. Peccato per la sua intensa
interpretazione sia stata disturbata da rumori tecnici
provocati dal microfono.
Lo spettacolo narra fedelmente le storie di Tarantino:
un teatro che racconta ma che non denuncia. Proprio
come nelle intenzioni dell’autore. [patrizia
vitrugno]