Pro patria – senza prigioni senza processi


Anno
2012

Genere
monologo

In scena
fino al 14 ottobre
Teatro Vittoria | Roma

Autore
Ascanio Celestini
Regia
Ascanio Celestini
Musica
Andrea Pesce
Interpreti
Ascanio Celestini
Produzione
Fabbrica in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria

 

Chissà quanti dei ragazzi – tanti (chi ha detto che il teatro non interessa ai giovani?) – presenti al Teatro Vittoria a vedere lo spettacolo di Ascanio Celestini “Pro patria – senza prigioni senza processi”, si sono detti: «Questa sì che è una celebrazione dei 150 anni d’Italia!». Ironia, gesti misurati alla testa, tutto è allineato nel testo.

Celestini, detenuto in carcere nell’Italia di oggi, si immagina di scrivere un discorso con Giuseppe Mazzini: grazie a quello ripercorre i volti e gli avvenimenti dal 1848 fino alla creazione del Regno d’Italia. E’ un racconto lontano dalla retorica celebrativa istituzionale, trasmette una storia fatta di tentativi, fallimenti e compromessi. Una storia di donne e uomini, scesi dal piedistallo della mitologia e mescolatisi al resto dell’umanità. La democrazia forse è proprio questo, comprendere che tanti volti senza nome sono morti in nome di un ideale e una speranza; ma poi la storia ricorda solo quelli più carismatici, il resto è un «niente di un niente che diventa altro niente». Allora Giuseppe Garibaldi è quel «poncho colorato da cantante cileno», Papa Pio IX un uomo che rabbrividisce al vento della ribellione nelle varie parti d’Italia e chiude le porte perché fa troppo freddo. Nel discorso visionario compaiono anche un negro africano che si è fatto amputare il pene per evitare di essere oggetto di barzellette sconce da parte del ‘secondino merda’ e un cane con tre gambe. L’ironia dosata in modo così sapiente restituisce realtà alla storia, le toglie il velo dell’illusione e dell’esempio irraggiungibile. Pisacane era un idealista viaggiatore, Mameli un uomo di poche parole nonostante fosse l’autore dell’inno nazionale, Orsini nonostante il cognome nobile un sovversivo, Mazzini un fantasma che si aggirava per l’Europa («sempre vestito di nero, magro»).

Una rivoluzione, quella italiana, che sfociò nel compromesso della monarchia, senza l’ausilio della ghigliottina come in Francia, passando per la guerra di Crimea per poter arrivare alla Repubblica. Pure i francesi sono lontani dalla grandeur di liberté, égalité, fraternità: il re Luigi Bonaparte sosterrà il Papa contro i rivoluzionari, proprio lui figlio della patria della Rivoluzione.

Celestini è ironico senza offendere, invita alla riflessione, il suo monologo di quasi un’ora e quaranta minuti senza interruzioni incolla il pubblico alla sedia, l’attenzione non cala mai. La scenografia è minima, lo spettacolo è nel testo, nell’interpretazione, nel senso.
Celestini prima dello spettacolo è fuori dal teatro, parla tranquillamente con alcuni amici: come facevano gli artisti all’inizio della carriera, per vivere il contatto con il pubblico, perché sono pubblico. Già. Perché prima del ruolo ognuno di noi è una persona, un cittadino di Pro patria.

Pro patria” è parte di una trilogia. Seguirà “La fila Indiana” e “Fabbrica”.
[deborah ferrucci]