Due
attori, (un uomo e una donna), una scena scarna, solo
due oggetti: una chitarra e un vecchio giocattolo,
un liso cavallino di peluche con le ruote. Il pubblico
si finisce di accomodare e già uno dei due
parla, interagisce con gli ultimi ritardatari che
si accomodano velocemente. Si spengono le luci e il
personaggio che stava parlando, a metà tra
un vecchio e un bambino, inizia a filosofeggiare sul
senso della vita, sul cinismo e la pochezza degli
uomini, introducendo una delle principali tematiche
affrontate dal romanziere russo Feodor Dostoevskij:
la sofferenza dell’uomo, per la precisione quella
dei bambini. “Se Dio esiste perché permette
che i bambini soffrano?”. E’ questo l’eterno
dilemma, il bambino simbolo di purezza e di innocenza,
ma anche di fragilità e bellezza, non è
pronto a sopportare il male e la sporcizia del mondo
a tal punto che ne potrebbe morire. Ecco il punto,
il bambino non concepisce, non comprende la cattiveria
o la crudeltà. E così il primo racconto
di Dostoevsky scelto dai protagonisti narra dello
stupore raccapricciato di un bambino di fronte all’uccisione
di una cavallina, morta perché incapace di
trainare un carro pieno di gente.
Lo spettacolo alterna momenti di grande intensità
ad altri meno convincenti, tuttavia è apprezzabile
il lavoro degli attori così come la scelta
di far emergere il testo de “I fratelli Karamàzov”
non solo in modo diretto ma a volte analogicamente
e altre indirettamente attraverso l’ironia e
la dissacrazione; invertendo anche i ruoli, donna/uomo,
uomo/donna, operazione interessante già sperimentata
da altri registi che in questa occasione dà
spazio ad originali sfumature nella resa dei personaggi.
Gli
sketch comici risultano quasi sempre obsoleti, come
sottolineato in una sorta di teatro nel teatro da
alcune battute dei personaggi stessi, che ora sono
divenuti due caratteri, una sorta di clowns, l’augusto
e il bianco, l’attore di esperienza e quello
bello stupido e giovane. Anche il finale forse arriva
in modo un po’ forzato, così come ci
sarebbe piaciuto vedere il testo del romanzo passare
un po’ di più anche attraverso i corpi
degli attori, che in alcuni casi mantengono una staticità
eccessiva. Tuttavia nel complesso l’operazione
è culturalmente e artisticamente apprezzabile
e ci è parsa come appunto i pedagoghi russi
dicono “interessante”. Le luci, essenziali
e avvolgenti, sono di Thomas Romeo. [annalisa
picconi]