“Contro
il libero arbitrio”. Potrebbe essere questo il titolo
con cui ricondurre i due atti unici di Luigi De Filippo “Quale
Onore” e “Cupido
scherza e spazza”, in scena al teatro
Parioli Peppino de Filippo di Roma con il nome “Peppino,
quante belle risate”.
In “Quale
onore” un modesto impiegato, sperando
in un avanzamento, invita a cena a casa il direttore. Un vicino
invadente gli fa credere che l’abitazione sia troppo
modesta per ricevere una tale personalità. In pochi
minuti gli trasforma la casa, rendendola più ricca
e sontuosa. Ma tali esagerazioni suscitano il sospetto del
direttore, che ordina una severa inchiesta ed il licenziamento
del povero impiegato.
“Cupido
scherza e spazza”, nella Napoli del
1950 un modesto netturbino trova un portafoglio con una somma
considerevole e, in uno slancio d’onestà, lo
restituisce al proprietario che l’aveva smarrito. Ma
il suo lodevole comportamento non è ripagato dal destino.
Il dramma si annida fra le mura domestiche: la moglie lo tradisce
col suo migliore amico.
Tra un atto e l'altro
la figura del Caso si presenta al pubblico in forma di rima,
presentandosi come il deus ex machina degli eventi che governano
il mondo e l'uomo come burattino che lo anima, quando le conseguenze
vanno oltre le nostre intenzioni. Capita spesso ma sbattuta
in faccia, seppur sotto forma di commedia e risate, fa un
certo effetto. Quello comico è assicurato dal colore,
dal calore e dalla vita che Peppino de Filippo sa rendere
sulla pagina scritta ed il figlio Luigi sul palcoscenico attorniato
da uno stuolo di giovani attori, che si faranno. Ciò
nonostante, non tutto fila liscio. La tendenza di alcuni protagonisti
ad esagerare fa perdere quella naturale simpatia che si prova
davanti ad un pezzo così importante della storia del
teatro. L'arte della sottrazione non è ancora presente,
ma la comicità è un equilibrio chimico non immediato
che richiede tempi giusti, ritmi sostenuti ed interazione
equilibrata che in “Peppino, quante belle risate”
non sempre si verifica. In altre parole non sempre le ciambelle
riescono con il buco.
[fabio melandri]