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Anno
2012
Genere
tragedia
In
scena
in turnè
(vedi date
sottoriportate)
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Autore |
William
Shakespeare |
Adattamento/Traduzione |
Nanni
Garella |
Regia |
Nanni
Garella |
Scene |
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Costumi |
Claudia
Pernigotti |
Luci |
Gigi
Saccomandi |
Interpreti |
Massimo
Dapporto,
Maurizio Donadoni,
Massimo Nicolini,
Matteo Alì,
Gabriele Tesauri,
Angelica Leo,
Federica Fabiani |
Produzione |
Arena
del Sole, Nuova Scena- Teatro Stabile di Bologna |
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«Io
non sono quel che sono». Così parla l'onesto Iago,
onesto con se stesso; l'affabile e convincente Iago capace di
conquistare la fiducia degli uomini (Otello, Cassio, Roderigo
suo complice) e delle donne (dalla moglie Emilia a Desdemona)
è il fulcro, il perno intorno al quale ruota il dramma
della gelosia per antonomasia: “Otello”.
«Per
Otello il mondo è bello, gli uomini nobili e giustificano
la loro esistenza nella lealtà e nell'amore –
racconta Nanni Garella, regista di questa nuova produzione
a cura dell'Arena del Sole Nuova Scena /Teatro Stabile di
Bologna. Per Iago il mondo è abietto e volgare e gli
uomini sono come animali, carogne che si divorano l'un l'altro;
da un lato un'idea di mondo e della natura umana che volge
lo sguardo alla convivenza, alla bellezza e armonia; dall'altro
la totale assenza, machiavellica, di ideologia, il pragmatismo
empirico più spregiudicato».
Ed è
proprio il conflitto di queste due visioni del mondo che si
ripercuote sul linguaggio dei due contendenti; l’aspetto
più interessante di una delle opere più belle
ed immortali di William Shakespeare. I ruoli di servo e padrone,
che con lo svolgimento della tragedia iniziano un processo
inesorabile di capovolgimento (come nella pellicola “Il
servo” di Losey), la destrutturazione
di un mondo a favore del secondo che con il suo “lato
nero della forza” va a contaminare la visione otelliana
degli uomini. Il tutto influisce sui rispettivi linguaggi.
Quello di Otello scolasticamente elegante e fintamente ricercato
viene contaminato, destrutturato dalla volgarità di
Iago: «E resta solo un linguaggio sfasato e incerto,
sconnesso e schizoide - continua il regista -. L'unica vittoria
di Iago consiste nel distruggere la poesia, l'eroismo, la
grandezza del generale Otello, infrangendo le certezze del
linguaggio, spingendolo all'afasia, al balbettio, in una sorta
di eloquio spezzato che somiglia tanto al monologo interiore
della letteratura moderna di un Joyce o Beckett».
Nei panni
di Iago un Maurizio Donadoni che si cala nelle vesti del diabolico
attendente con una recitazione sanguigna, volgare, tutta giocata
di pancia ed emozioni rancorose. Emerge l'intelligenza del
personaggio ed al contempo la trivialità dei suoi comportamenti,
in una duplicità che seduce e conquista. Di converso
l'Otello di Massimo Dapporto risulta freddo e distaccato,
mai completamente convincente; il suo passaggio tra la certezza
dell'amore e sincerità di Desdemona ed il dubbio che
si insinua rodendolo dall'interno risulta meccanico, artefatto,
“scolastico”. Poco convincente. Già il
testo shakespeariano punta forte su Iago, se poi anche la
scelta recitativa non supporta il Moro, la battaglia è
persa.
Ma anche un grandissimo come Orson Welles nell'omonimo film
da lui diretto (1952), perde il confronto recitativo con lo
sconosciuto Michael MacLiammoir nei panni di Iago. E' il destino
triste e segnato del personaggio.
I due si muovono all'interno di una scena dominata da un immenso
velo bianco, sul quale le luci di Gigi Saccomandi ricostruiscono
emotivamente i diversi ambienti della tragedia: la spiaggia
dell'Isola di Cipro, i bastioni della fortificazione, gli
interni delle sale in cui si consuma l'eccidio finale. Una
scena uguale a se stessa, ma sempre diversa, dominata dal
bianco su cui si stagliano le oscurità delle umane
bassezze. Uno spettacolo godibile, in cui più che dall'effimero
di scene, costumi, luci e sorprese di messinscena si viene
conquistati dal potere della parola. Ed è una gran
bella seduzione.
[fabio melandri]
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