Sono
vestiti di nero, con ai piedi enormi scarpe da clown,
maschere, tutù e piume di struzzo i quattro
attori protagonisti de Le nuvole
per la regia di Antonio Latella. La morale di Aristofane
si affida alla traduzione anticonvenzionale di Letizia
Russo, dando vita ad uno spettacolo che divide il
pubblico, nel bene e nel male. Alle originalità
di Latella gli afictionados sono avvezzi, ma questa
volta il confine tra geniale e stucchevole è
alquanto labile e incerto.
La storia è nota: il contadino Strepsiade (Annibale
Pavone) per evitare di pagare i debiti contratti alle
corse dal figlio fannullone Fidippide (che sul palco
è un pupazzo deforme e ventriloquo, pigro e
impertinente, animato con buona interpretazione da
Massimiliano Speziani che veste anche i panni di Socrate),
va a lezione da Socrate per imparare l’arte
della persuasione, al fine di vanificare le pretese
dei creditori. Non riuscendoci in prima persona, manda
a scuola di sofismi il figlio, col risultato di armarselo
contro. I bravissimi Annibale Pavone, Marco Cacciola,
Massimiliano Speziani e Maurizio Rippa danno smalto
a quella che risulta una vera e propria parodia della
nuova filosofia che risponde alla natura reazionaria
di Aristofane, il quale vedeva in Socrate l’esponente
di quel pensiero critico che può dar luogo
ad effetti disastrosi. E il passo tra ieri e oggi
è breve, tant’è che la satira
di cui faceva oggetto i suoi nemici, a distanza di
secoli, suscita ancora risate ed è estremamente
attuale.
Ciò che piace di questo spettacolo è
il coinvolgimento che Latella crea tra attori e pubblico:
spesso la sala è illuminata e gli interpreti
cercano uno scambio anche duro con la platea. E in
fin dei conti è questo il senso dell’opera
di Aristotele. Il dibattito, il ragionamento del cui
significato si fa portavoce Socrate, è ricercato
con il pubblico anche in maniera forte, apostrofato
infatti anche in maniera volgare (“massa di
rottinculo”).
Meno convincente e a tratti addirittura banale, la
trasposizione della celebre gara tra Discorso giusto
e Discorso ingiusto, recitata in proscenio : diventa
una sterile declamazione dei due opposti punti di
vista. Da un lato il discorso giusto o migliore che
osanna i valori tradizionali, il rispetto dei genitori,
l’orgoglio, il pudore e che abbozza posture
e vocalità da duce; dall’altro il discorso
ingiusto o peggiore più pacato e più
vicino alla gente alla quale l’attore si avvicina
scendendo tra il pubblico, e che cerca di svegliare
le coscienze sopite in platea. Alla vittoria del discorso
ingiusto si accompagna l'involarsi verso il soffitto
di una quarantina di scheletri che fino a quel momento
sostavano come nuvole, appunto, sospesi in diverse
posizioni da vivi.
Latella affida la chiusura dello spettacolo ai tre
scimmioni di kubrickiana memoria e alla regina di
questo cabaret Maurizio Rippa che, con la voce da
contralto e senza microfono canta Battiato. E, questa
volta, c’è poco da ridere.
[patrizia vitrugno]