Vedere
“Note di cucina”
è un po' come ristabilire quel clima casalingo
che ha portato i fornelli a diventare i protagonisti
indiscussi degli ultimi anni di intrattenimento televisivo.
Il problema però è cercare di cogliere
il messaggio nascosto tra il soffritto e lo stracotto,
rischiando di bruciare il senso del non senso. Sì,
perché l'adattamento di Giuseppe Roselli su
testo di Rodrigo Garcia (autore dissacrante per definizione),
è l'elogio dell'assurdo attraverso cui dare
un senso alla società che ci circonda. Frasi
brevi, concise, attraverso cui pennellare sguardi
d'irriverenza e dispensare definizioni a caso, nella
speranza che facciano breccia tra l'ordinario che
regola i pensieri. Il segreto è scombinare
ogni piano logico, mescolare scene di routine culinaria
a momenti di delicata ridondanza rinascimentale, in
cui il liuto di Simone Colavecchi fa da spalla agli
intervalli musicali del narratore Giorgio Carducci,
vestito in costume seicentesco.
Il problema è nel
potere di trasmissione del sottotesto, che richiede
un tempismo impeccabile e un'interazione decisa tra
i protagonisti. Caratteristiche che, almeno nella
prima serata di "Note di Cucina", sembra
essere mancata ai quattro attori Raffaella Cavallaro,
Giancarlo Fares, Sara Greco Valerio e Alessandro Porcu,
deboli già dalle prime battute e incapaci di
recuperare una sicurezza interpretativa nelle scene
più vivaci. Eppure tra loro si nascondono docenti
accreditati ed esperti di tecniche teatrale, verrebbe
difficile immaginare un imbarazzo da esordio. Ma tant'è,
il palco del Teatro dell'Orologio non perdona e la
narrazione dell'ideale maschile di serata galante
rimane l'unico bagliore digesto di una conviviale
chiacchierata tra mondi separati.
Non
è facile portare in scena l'impossibile e l'imprevedibile,
così come non è assicurato il risultato
per chi decide di intraprendere un viaggio ostico
nell'altero mondo di Garcia. L'utilizzo dei quattro
tavoli mobili pieni di elementi su cui concentrare
l'energia del testo e la scelta di lasciare i microfoni
verticali quale unica presenza fissa di scena denota
un rigore e un disegno ben preciso nell'adattamento
ideato da Roselli. La voce della coscienza che si
staglia sui rapporti umani e sulla mutevolezza degli
eventi, il ritorno al proprio io dopo aver mediato
tra il proprio senso e il senso altrui. Il tutto in
un gesto semplice e rituale come la preparazione di
un pasto.
[gianluigi cacciotti]