Un doppio
sguardo di donna al centro della scena inchioda lo spettatore,
introducendo in modo quasi subliminale e ipnotico il titolo
dello spettacolo: “No
Escape” (“Senza Via di Scampo”).
I due attici unici firmati da Dino Buzzati, “Sola
in casa” e “Spogliarello”,
invitano la donna a “non fuggire” nel primo atto
dalle sue problematiche come la solitudine e nel secondo dalla
propria nudità interiore.
In “Sola
in casa” Madame Iris è una cartomante che vive
con un geco, un gatto e la scrivania da lettrice dei destini
umani. Suoni pesanti di chiavistelli amplificano il senso
di isolamento dalla società, un po’ come Giulietta
Masina nel film di Fellini “Giulietta degli Spiriti”:
un continuo chiudere persiane e porte, per tenere fuori la
vita. Ogni tanto la cartomante di Buzzati apre una persiana
sulla strada, ma i suoni che ode sono “rumori molesti”,
sirene di ambulanze, della polizia, perché nel quartiere
si verificano frequenti omicidi; meglio chiudersi a chiave,
per non rischiare. Ma un vicino suona alla porta per farsi
leggere le carte del suo destino… Monologo enigmatico
indagato con precisione registica da Giovanni Morassutti e
con attenta e fluida interpretazione da Lydia Biondi, che
supera brillantemente l’ostacolo di recitare da sola
il dialogo con il cliente. È una solitudine “piena”,
intensa e la Biondi domina il palcoscenico con grazia, garbo,
professionalità, tiene la tensione dell’epilogo,
vive con partecipazione il “complicato” finale.
L’attrice è il monologo.
Nel secondo atto, Laura
Caparrotti pur essendo talentuosa non riesce a convincere
fino in fondo. Accenna il personaggio, sceglie con quali parti
di esso identificarsi, lasciando dei vuoti qua e là.
Non cattura l’essenza di Velia, spogliarellista per
codardia, donna irresponsabile che attribuisce i propri fallimenti
alla sfortuna, che delega la propria sussistenza una volta
ad un amante facoltoso e avaro (questa sì che è
sfortuna!), un’altra ad una zia e ad un prete a cui
confessa le proprie colpe. Nessuno vuole farsi carico completamente
della vita di Velia, dovrebbe farlo da sola, se ne avesse
il coraggio. Ecco, se l’attrice-regista Caparrotti avesse
evidenziato la codardia di questa donna come chiave di lettura
dell’intero testo ne avrebbe colto l’essenza,
invece, si perde tra piccole sfumature che altro non sono
che variabili provenienti da uno stesso centro, da una stessa
problematica interiore: la fuga da se stessa. Probabilmente
una regia esterna solleverebbe l’attrice dal duplice
ruolo e le consentirebbe di concentrarsi sul personaggio.
Esperimento interessante, riuscito nel primo atto, con scene
belle e funzionali ideate da Lucretia Moroni e con una produzione,
la Kit, che ha il nobile scopo di promuovere la cultura italiana
negli Stati Uniti. Il “ponte” culturale è
importante, andrebbe approfondito e cesellato.
[deborah ferrucci]