Le
madri non se ne vanno mai, ripete a più riprese
Agrippina. E la vita di Nerone è il suo teatrino
personale: è lei che manovra l’esistenza
del figlio, che lo vuole imperatore, che lo porta
alla follia. Nel testo di Lorenzo Gioielli si ripercorre
in una notte un pezzo di storia di Roma. Nerone, Poppea,
Agrippina e Flavio leggono, circondati dal suggestivo
scenario dei Mercati di Traiano; alle loro spalle
il Vittoriano cullato dalla fresca notte romana.
Raccontare la storia di Nerone è un pretesto
per raccontarne il tempo, le sue contraddizioni ma
soprattutto il pensiero di chi scrive. Prende il sopravvento
il monologo – che vorrebbe però essere
dialogo – sui massimi sistemi, sulla religione,
sulla morte di Cristo e sul suo significato storico
e sociale. Il pensiero di chi scrive è predominante
quasi eccessivamente ridondante, a schiacciare l’intera
pièce. Chi è l’ebreo morto sulla
croce? Chi sono i cristiani? Perché la loro
setta è sempre più diffusa? È
possibile salvare Pietro prima che il gallo canti
tre volte? E via di questo passo.
Parole declamate, enfatizzate risuonano tra le rovine
archeologiche. Gli attori cercano di staccarsi dal
testo scritto, provano a dare anima ai personaggi,
ma il tutto risulta troppo decantato. Lo spettacolo
permette di godere della location in un orario insolito
che dona, se possibile, ancora maggiore splendore
ai Mercati di Traiano.
Amanda Sandrelli, Davide Nebbia, Oriana Mirruzzo interagiscono
coi copioni sotto lo sguardo di Gioielli che fa suo
il monologo finale, conclusivo del suo pensiero sulla
vita e la morte, sulla religione e sul senso delle
cose. Sul perché il tempo non si possa fermare
e sul perché non è possibile riavvolgere
il nastro e riportare le cose nel giusto ordine. Nerone
è un pretesto, un appiglio dal quale partire.
Il resto è un tentativo di lettura.
[patrizia vitrugno]