Alessandro
Bergonzoni è un folle. Oppure: Alessandro Bergonzoni
è un genio. Se siete disposti a varcare la
sottile linea che separa genialità e follia,
NEL è lo spettacolo
adatto. Sarebbe errato definirlo comico, eppure di
riso ne suscita molto. Funambolo del nonsense, paroliere
dell'inaspettato, Bergonzoni si avvicina e contrae
ancor di più lo stile già usato da Valentin
e Kraus, facendosi beffe del parlare comune: “Zitti,
anima in bocca”; “l lavoro nobilita l’uomo.
Migliora la donna. E l'eunuco...”.
Se
ormai identificate la comicità solo con la
satira, l'informazione e le imitazioni, siate pronti
a ciò che state per vedere, perché nulla
di tutto questo viene proposto dall'attore durante
la rappresentazione. L'intero spettacolo è
un gioco, una burla onomatopeica per mezzo della quale
Bergonzoni diventa il saltimbanco che trascina la
mente lontano dai pensieri quotidiani. Modi di dire
e parole d'uso comune fluttuano nel suo immaginario,
riportate ai loro significati letterali.
Per
un'ora e trenta minuti si assiste ad un monologo pieno
di attori: tutte personalità dell’autore.
Nel caos di questo soliloquio le convenzionali strutture
linguistiche sono sovvertite e nello spettatore sgorgano
risa viscerali cui dà vita la lingua dell'attore,
solleticando l'intelletto come una piuma.
Il
centro di gravità cui tutto intorno ruota non
sono i costumi, la colonna sonora o le luci (o le
scene, per quanto ben congegnate): è solo il
protagonista, che capovolge continuamente l'ordine
delle cose, creando piccoli cortocircuiti neurali.
Uscirete dalla sala giocando a «nascondio»,
un gioco che se Dio si nasconde bene, «può
durare anche millenni». Bergonzoni elimina una
semplice consonante: nella mente un lampo illumina
un universo di significati. E sgorga il riso.
Se
cercate delle semplici incertezze, una base liquida
per rimanere ancorati all'irrealtà.
[simone salis]