Un
“Mistero buffo” attuale. Se con l'autore
e premio Nobel Dario Fo si parlava degli anni Settanta
e dei movimenti culturali annessi a quella fase storica,
nella sua personale versione Pop, Paolo Rossi inserisce
nelle Bibbie dei Villani e nelle affabulazioni la
contemporaneità italiana. L'assunto su cui
far ruotare l'intera vicenda è: “Cosa
accadrebbe se Gesù tornasse sulla Terra ai
giorni d'oggi?”. Questo significa che sul palcoscenico
(dove è costruito un mini palco pronto al trasporto
qualora Rossi non dovesse più averne a disposizione
uno al coperto!), c'è un manichino ammanettato
che al bisogno si trasforma in migrante. Spesso e
volentieri anche nella spiegazione testuale, prima
dell'interpretazione in grammelot, fioriscono riferimenti
al Premier che, a detta del protagonista della scena
del Vittoria, al momento della dipartita “quanto
ci mancherà”. E si susseguono e si alternano
riferimenti ad Antigua come a Licia Colò, insinuazioni
su Benedetto XVI e battute sul ministro Bondi, riferimenti
al caso Ruby e strane teorie sui cammelli che devono
necessariamente passare per la cruna dell'ago.
Un
Paolo Rossi che entra in scena affiancato dal musicista
Emanuele Dell'Aquila (spesso e volentieri funge da
spalla). Nelle due ore e più di spettacolo,
vengono ripercorse le varie tappe della vita di Gesù,
dalla nascita alle 'continue' lacrime della vergine
Maria, fino all'ipotetico rapporto con il non-padre
Giuseppe.
Un volo d'angelo che offre alla platea, con tocco
poetico e a tratti polemico, uno scorcio sulla storia
del Cristo e sulla nostra storia. Potente il finale
che vede la trasformazione del manichino (spassosa
l'immagine dei cinquanta fantocci che su una barca
attraversano il lago di Garda diretti a Salò,
per vedere che effetto fa agli abitanti), nel simulacro
della crocifissione. Toccante per l'intenso ma nel
contempo fluido cambio di registro, l'entrata in scena
di Lucia Vasini nella Laude in grammelot della Passione
di Cristo. Prima si finge svampita; basta poco perché
si trasformi in una vergine dolorosa. Uno spettacolo
da apprezzare, per scoprire un pezzo di storia di
teatro che continua ad essere fresco e appassionante.
Il teatro di parola è vivo e vegeto.
[valentina venturi]