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Anno
2012
Genere
commedia noir
In
scena
fino al 21 aprile
Teatro Della Cometa | Roma
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Autore |
Manlio
Santanelli |
Regia |
Enrico
Maria Lamanna |
Scene |
Maria
Luigia Battani |
Costumi |
Maria
Luigia Battani |
Luci |
Stefano
Pirandello |
Musica |
Carlo De Nonno |
Interpreti |
Tosca
D'Aquino,
Gea Martire |
Produzione |
Clemart |
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San
Gennaro, paziente Patrono di Napoli, è invocato da due
madri che vedono nelle carriere dei rispettivi figli un fallimento
educativo. L'una disperata per aver dato alla luce un Carabiniere
(in un contesto urbano dove è riconosciuto come nemico),
l'altra per aver permesso che l'insicurezza del primogenito
lo conducesse verso cattive compagnie e loschi traffici. Due
strade diametralmente opposte, che cercano una simile dignità,
attraverso l'indulgente preghiera materna.
Il continuo rimbalzo tra le due
litanie cerca di dare spessore alla storia, colorando il doppio
monologo con le tipiche tonalità della commedia napoletana:
il calcio, la fede, la bellezza di Napoli... Reiterate costanti
di una preghiera che riesce a durare ben oltre la normale
celebrazione eucaristica a cui le due donne partecipano distrattamente.
Nell'intimo del confessionale, al cospetto di un crocifisso
che si orienta cromaticamente a seconda del lamento, si snoda
il rosario della passione di mammà. L'intimità
familiare che pian piano viene raccontata, i difficili percorsi
dell'adolescenza, la ricerca di una "brava guagliona"
da maritare, il lavoro che non c'è. Tutto normale,
nella sua caricaturizzazione. Infatti l'unico bagliore che
si staglia nella monotona trama è quello delle candele
votive a contenimento del paziente San Gennaro, mentre il
sofferto racconto ricama su blasfemi e supplicati percorsi
(già precedentemente intrapresi), tra carnale dedizione
al santo (ora raffigurato come esempio di vita a cui ispirarsi,
ora come esempio di marito a cui ambire) e ascetiche promesse
di mestizia.
Alla fine dei 75 minuti di discutibili
invocazioni arriva l'epilogo, che restituisce un minimo di
dignità ad un testo decisamente insapore. Innegabili
le doti interpretative delle protagoniste Tosca D'Aquino e
Gea Martire, a pieno agio nei ruoli materni e perfettamente
in sintonia nel cedersi e riprendersi la scena. L'unico rammarico
è di averle (male) impiegate in un testo che, al netto
di ogni (eventuale) bigotto disappunto, rimane comunque lontano
da ogni riflessione di spessore.
[gianluigi cacciotti]
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