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scena lo spettacolo di Pino Caruso, da un testo di
Dacia Maraini, intitolato “Mi
Chiamo Antonino Calderone”. Il lavoro,
tratto da “Gli uomini del disonore” di
Pino Arlacchi e sapientemente scritto da un’autrice
italiana che rende lustro al nostro paese nel mondo,
i cui romanzi e i testi teatrali sono rappresentati
al livello internazionale, è basato sulle testimonianze
di un noto pentito di mafia. Fino al 1978, il potente
boss Calderone controllò gli affari della mafia
catanese. Poi per lotte intestine, perse il titolo
di boss e il fratello Giuseppe, ucciso a tradimento.
Perseguitato dai clan avversari e dalla polizia, Calderone
dovette fuggire dall’Italia rifugiandosi in
Francia, dove mise in piedi una piccola attività
di lavanderia; dopo qualche tempo fu arrestato e decise
di collaborare con la giustizia, sottoponendosi al
programma di protezione insieme alla famiglia. Giovanni
Falcone si è recato più volte in Francia
riuscendo, grazie alle rivelazioni di Calderone, a
portare a termine circa 200 arresti.
“Calderone ha raccontato la sua vita a Pino
Arlacchi che ne ha fatto un libro. E io ho raccontato
a mia volta, in forma teatrale, la storia di quest’uomo
dalla vita avventurosa e difficile, inseguito dalla
vendetta”, dice la Maraini. Ed è proprio
lo stile narrativo l’elemento fondante di questo
monologo. Si racconta per informare, per rendere cosciente,
un pubblico a volte poco informato, di quella che
fu chiamata “cosa nostra” e poi “cupola”.
Un’organizzazione della quale lo stesso Antonino
riferisce: la polizia all’inizio sapeva poco
o nulla, alcuni ne mettevano addirittura in dubbio
l’esistenza. Tra le regole fondamentali infatti
c’era quella di non lasciare mai, per nessun
motivo, qualcosa di scritto. Tutto si basava sulla
parola e queste parole, usate per spaventare, per
uccidere, per supplicare, ricordi che martellano ancora
nella testa di Calderone, sono state le pietre che
hanno segnato il limite tra la vita e la morte di
alcuni esseri umani. Un assassino che a volte si rende
simpatico, forse perché veramente pentito,
anche se ormai incapace di porvi rimedio.
Pino Caruso è un narratore elegante, misurato,
essenziale interprete di un mondo, quello siciliano,
che ben conosce e sa riportare. La durata del racconto
è ben calibrata e sfuma delicatamente verso
il finale. Rimane la sensazione di poter ritornare
ad ascoltare altre storie, raccontate da un uomo vecchio
che forse ha saputo riconoscere, dopo terribili esperienze,
il vero senso della vita.
[annalisa picconi]