L’espiazione
di una colpa inconfessabile come l’infanticidio,
costringe quattro donne dai temperamenti diversi tra
loro alla convivenza forzata nelle stanze di un ospedale
psichiatrico giudiziario. Lontane anni luce dagli
show televisivi che hanno segnato tragedie simili
alle loro, Vincenza, Eloisa, Rina e Marga, al massimo
hanno visto i loro volti immortalati sulle pagine
dei quotidiani locali, a corollario di articoli deformati
dall’approssimazione di cronisti improvvisati.
Se Vincenza (Amanda Sandrelli) si presenta come la
più matura del gruppo, tanto da tenere un diario
per i figli, Eloisa (Elena Arvigo), un passato da
attricetta in film di serie B, appare come l’animo
inquieto della compagnia, mentre Rina (Xhilda Lapardhaja)
è la più giovane e anche la più
instabile psicologicamente. Chiude il cerchio la new
entry Marga (Elodie Treccani), amante dei libri e
della poesia, ma con una vita del tutto anonima alle
spalle. In una routine fatta di accuse, scuse e piccoli
gesti quotidiani, il filo nero della colpa tiene unite
le esistenze mutilate di queste donne e il loro fissarsi
negli occhi, soprattutto nei momenti di tensione,
lascia emergere i contorni dei fantasmi di cui non
possono più disfarsi.
Tratto dal dramma
teatrale “From
Medea” di Grazia Verasani, già
autrice di “Quo
vadis, baby?” e di “Tutto
il freddo che ho preso”, “Maternity
Blues” relega lo spettatore
in un labirinto pieno di ombre senza concedere un
giudizio morale. Elena Arvigo, reduce dal successo
di “Torre d’avorio” di Ron Howard
con Luca Zingaretti, è contemporaneamente attrice
e regista di questo dramma a quattro voci che si distingue
per la cura delle sfumature psicologiche. Amanda Sandrelli,
Xhilda Lapardhaja e soprattutto Elodie Treccani, l’unica
delle protagoniste che ha preso parte alla versione
cinematografica di “Maternity
Blues” presentata nel 2012 al
Festival del cinema di Venezia, riescono ad imprimere
un ritmo serrato alla vicenda. La scenografia, curata
da Lorenza Indovina, trabocca di oggetti all’apparenza
anonimi ma che in realtà rappresentano elementi
fondamentali per le povere vite delle protagoniste:
il diario di Vincenza, la radio di Eloisa, l’orsetto
di Rina, i libri di Marga. Le luci giocano un ruolo
di primo piano, in particolare quando si abbassano
fino all’oscurità come ad esaltare il
buio interiore delle recluse. Da perfezionare il suono.
[valerio refat]