Tre
capitoli, tre momenti nella vita di un mito, della
diva per antonomasia. Lo spettacolo scritto da Giuseppe
Manfridi offre l’occasione di conoscere i modi,
la voce e gli atteggiamenti provocatoriamente bisessuali
della protagonista de L’angelo
azzurro, Marlene Dietrich (un’ottima
Pamela Villoresi in un ruolo non facile).
Il primo capitolo è ambientato a Londra, nel
1954. Dopo Hollywood, il teatro si propone alla Dietrich
come occasione di riscatto artistico. È la
mattina del giorno in cui l’artista, cinquantenne,
debutta al “Cafè de Paris”. Il
suo alter ego è Joseph Von Sternberg (Orso
Maria Guerrini), regista e pigmalione cinematografico:
girarono assieme sette film e la convinse a farsi
togliere quattro molari e la mise a dieta per un aspetto
più drammatico.
Il secondo momento è fissato sei anni dopo,
nel 1960. Siamo nel camerino di un teatro di Berlino,
dove Marlene torna dopo anni di assenza. Mancano poche
ore al concerto e nel camerino c’è il
musicista Burt Bacharach (David Sebasti), all’epoca
trentenne, poco noto ma molto promettente: è
tangibile che fra i due vibra una potente corrente
erotica. Fine primo atto.
Terzo capitolo: siamo nel 1975 a Toronto in una suite
d’hotel trasformata in camerino. Marlene, ormai
dedita a far rivivere i suoi uomini con la mente e
incline all’alcool, deve esibirsi negli stessi
alberghi in cui alloggia. Tra mezz’ora si aprirà
il sipario, ma c’è tempo per un confronto
con la figlia Kater (Silvia Budri), obbligata a subire
le ingerenze dell’ingombrante madre e a vivere
di riflesso. Lo spettacolo si chiude con un coupe
de teatre interamente dedicato all’uomo che
diede a Marlene il successo e la fama, facendola diventare
un mito.
Il regista Panici ha voluto dare risalto alla “storia
di una donna fragile/indistruttibile, sezionata nei
suoi affetti, nei suoi rapporti, che impietosamente
si mostra nella sua terribile alterità fino
alla consegna finale attraverso uno struggente e infinito
piano sequenza diretto dal suo maestro di sempre.
Le canzoni sono il filo rosso di questo spettacolo,
per ricomporre pienamente il quadro di un’epoca
fortemente dolorosa, segnata dalla guerra da cui disperatamente
si cercava una via di uscita”.
Un percorso a tappe vissuto anima, corpo e voce da
Pamela Villoresi che, a parte piccoli cedimenti emotivi
nel secondo atto, offre una donna volitiva, androgina,
dal carattere eversivo, ma addolcito da una fragilità
imprevista. Orso Maria Guerrini apre la pièce
e la maestosa voce riecheggia per la durata dello
spettacolo. Buona la performance di David Sebasti.
La scenografia (un camerino mobile) è funzionale
allo spettacolo e i costumi amplificano l’immedesimazione
con lo stile dell’epoca. Per scoprire il dietro
le quinte del mondo in bianco e nero.
[elena del tronto]