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Autore:
William Shakespeare |
Traduzione:
Alessandro Serpieri |
Regia:
Gabriele Lavia |
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Scene:
Alessandro Camera |
Costumi:
Andrea Viotti |
Musica:
Giordano Còrapi
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Luci:
Pietro Sperduti |
Compagnia:
Lavia Anagni |
Interpreti:
Gabriele Lavia, Giovanna Di Rauso, Maurizio Lombardi,
Biagio Forestieri, Patrizio Cigliano, Mario Pietramala,
Alessandro Parise, Michele Demaria, Daniel Dwerryhouse,
Fabrizio Vona, Andrea Macaluso, Mauro Celaia, Giorgia
Sinicorni, Chiara Degani, Giulia Galiani |
Anno
di produzione:
2008 |
Genere:
drammatico |
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Tragedia
del sangue, del potere e dell’ambizione. Il
Macbeth shakesperiano
riassume la crisi del nuovo millennio. Sarà
per questo che Gabriele Lavia l’ha scelta per
portarla in tournée per l’Italia, nonostante
esistano superstizioni secondo cui il dramma sia in
qualche modo “maledetto”. (Alcuni attori
non menzionano ad alta voce il titolo, riferendosi
ad esso come “Il dramma scozzese”). La
storia è nota: tre streghe predicono a Macbeth
(Gabriele Lavia) la corona. Da questo momento in poi
l’unico desiderio del barone di Glamis, spinto
e motivato dalla moglie Lady Macbeth (una Giovanna
Di Rauso con voce troppo flebile, ma con una presenza
scenica adeguata alla tragedia), sarà attuare
il regicidio, impadronirsi della corona e proteggerla
con la morte. L’azione sanguinaria segna indissolubilmente
la coppia di assassini, sino all’inevitabile
disfatta.
Il regista ha dichiarato: “Macbeth è
la tragedia del tempo umano, lineare; il tempo di
una esistenza fatta di “Domani…domani…domani”
E’ un tempo fatto di paura. E’ la tragedia
del tempo di un Uomo Nuovo condannato al “fare”
per “potersi fare”. Re o altro ha poca
importanza. Un uomo condannato alla paura di perdere
ciò che ha raggiunto col suo “fare”
e che vive nella ambigua incertezza di essere qualcosa
e non essere mai nulla con certezza. Questo Uomo Nuovo
non è portatore di un nuovo modello di realtà,
ma il dubbioso interprete di una soggettività
in pezzi, pieno di nostalgia per un’ontologia
smarrita per sempre. “C’è stato
un tempo in cui” dice Macbeth sulla scena che
non è più il senso dentro cui agire
e che non ha più senso. Il palcoscenico della
storia è andato in pezzi e l’Uomo –
Attore sulla scena del mondo recita la sua vita come
“la favola scritta da un’idiota. Non significa
nulla”. Se tutti i riferimenti e i fondamenti
sono caduti, tutti i significati e i sensi si vanificano
nelle parole vuote di un delirio di pazzi”.
La crisi dell’uomo è resa attraverso
una scenografia funerea, presaga di morte e di dissoluzione.
Gli abiti sono rigide divise militari e alle spade
si alternano colpi di pistola. Lo spazio scenico è
diviso in due: l’intimità macbethiana,
fatta di incertezze e paure, si palesa nella camera
da letto, davanti al “camerino”; l’uomo
pubblico, il re ormai imbellettato ed impagliato (gli
abiti, il trucco e le scarpe accentuano la trasformazione),
occupa gran parte del palcoscenico. Uno spettacolo
è teso e bel calibrato, con però un’inspiegabile
accelerazione recitativa che spesso disperde le battute,
coperte dal proscenio e dalla musica.
[valentina venturi]
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