Dimenticare,
rivivere e forse ricordare.
Un uomo (Stefano Fregni) ha rimosso dalla mente, dalla
memoria la sua vita e le emozioni vissute negli anni
addietro. La scena cerca, attraverso continui flash
back spazio-temporali, di ricostruire la vicenda del
protagonista. Con lo scorrere delle immagini sceniche,
ci si domanda se è realmente stato un pugile;
se ha davvero trascorso una notte di bagordi a Londra
negli anni Sessanta con un lottatore di colore o se
invece si sono incontrati sul ring. Dai ricordi (senza
soluzione di continuità) si passa ai sentimenti:
ha mai amato o è stata un’illusione continua,
provocata dal poco affetto ricevuto da una madre fredda
e distante? È probabile che fosse un rapporto
di sudditanza o finzione anch’esso.
I tre interpreti (Stefano Fregni, Ivan Ristallo e
Corrado Siddi) si muovono dentro un ring; sul palcoscenico
ci sono oggetti tipici dei boxeur, come una sedia
dalle dimensioni ridotte, degli asciugamani e una
corda. Ma il dubbio persiste: è davvero la
carriera del protagonista, o è solo un sogno
mai portato a compimento?
Fabrizio Ansaldo, regista e autore del testo, dichiara:
“Si muore e si vive ogni momento nella memoria
di qualcuno. Viviamo per ricordare ed essere ricordati.
Viviamo di ricordi. I ricordi vanno continuamente
creati, coltivati. Accumulare quanti più ricordi
possiamo. Il tempo della memoria, il tempo della coscienza.
Un tempo sempre uguale a se stesso. Ci sforziamo di
vivere la realtà. Ma la realtà non è
il nostro tempo vero”. Il regista romano tenta
di portare sul palcoscenico la frammentazione emozionale
con infiniti cambi di scena, momenti morti e musiche
distorte che spezzettano la vicenda, aumentando la
sensazione di spaesamento nello spettatore. La difficoltà
però è superiore al coinvolgimento,
che si perde nel vano tentativo di comprendere la
vicenda. Forse sarebbe stato meglio ridurre le “informazioni”
sensoriali e i cambi di scena.
[valentina venturi]