Elegante.
È l’aggettivo che viene in mente guardando
l’ultimo spettacolo di Giuseppe Marini “La
Locandiera”, in scena al Teatro
Quirino di Roma fino al 1° dicembre. Elegante e
raffinato nella sua essenzialità. Sul palco sei
attori: la Mirandolina Nancy Brilli, lo stesso regista,
perfetto nei panni del misogino Cavaliere di Ripafratta,
uno strepitoso Fabio Bussotti in quelli del parsimonioso
Marchese di Forlipopoli, Maximilian Nisi che incarna
il prodigo Conte d’Albafiorita, Andrea Paolotti
che interpreta il servo fedele Fabrizio e Fabio Fusco
che accorpa in sé le “due comiche”
nella commediante trans Ortensia.
Questo spettacolo segna
l’incontro tra Marini e Goldoni, un incontro,
lo si può dire senza esitazione, fortunato.
E non solo perché restituisce alla vita del
teatro un’attrice brava come la Brilli per troppo
tempo impegnata quasi esclusivamente su set televisivi,
ma anche perché nonostante una presenza mediaticamente
così forte, la compagnia tutta è un
unico coro: ogni personaggio è equilibrato,
non ci sono stonature né prevaricazioni.
“La
Locandiera” è un testo
moderno che parla d’amore ma dove in realtà
l’amore non c’è perché vince
il narcisismo, l’egoismo, la soddisfazione personale.
La modernità di una figura come quella di Mirandolina
è sottolineata anche dal costume che indossa:
un corpetto strizzatissimo, quasi da amazzone, sexy
e forte allo stesso tempo; gli altri, tutti realizzati
da Nicoletta Ercole, sono invece barocchi, colorati,
opulenti. La scenografia di Alessandro Chiti fatta
di grandi e bianchi cubi girevoli, definisce le diverse
stanze della locanda della Venezia del Settecento.
A
ben guardare, questa regia di Marini si discosta dai
lavori precedenti: è più pacata, meno
“trasgressiva”. È come se le sue
geniali trovate registiche, cui siamo abituati e che
lo contraddistinguono, fossero state messe al servizio
di un’altra operazione. Di certo non meno coraggiosa.
Forse semplicemente diversa.
[patrizia
vitrugno]