La gabbia
ovvero la figlia del notaio, ultimo spettacolo di Stefano
Masseri in cartellone all’ultima edizione del Festival
di Santarcangelo, è un’opera cruda e di cocente
attualità. Nello spazio angusto e spoglio di una cella
sei metri per sei si confrontano, senza risparmiarsi colpi
bassi, una figlia terrorista e una madre borghese di professione
scrittrice. Le due si incalzano vicendevolmente, l’ansia
di una madre che non sa spiegarsi la fuga precoce dalla famiglia
e la scelta ideologica della figlia, fa da contraltare alla
rabbia nutrita dall’indottrinamento di quest’ultima
che vomita sentenze contro il modo di vita parassitario della
gente borghese.
La gabbia è il luogo dove materialmente avviene l’incontro/scontro,
il cerchio di autoconvinzione entro il quale la figlia si
rifugia per eludere le domande e, ultimo colpo di scena, il
manoscritto dove la figlia racconta sè stessa, ancora
incompiuto e che la madre sprona a portare a termine. Non
c’è redenzione, alcuna traccia di pentimenti
tardivi in questo tormentato atto che immerge sino ai capelli
lo spettatore nel torbido clima politico-generazionale che
dagli anni di piombo non si è mai definitivamente interrotto
giungendo fino ad oggi. Quel che è fatto è fatto,
non si può tornare indietro, l’unica cosa che
si può fare è cercare una logica, cercare di
dare un senso alla ribellione finita succube di una violenza
tragica. La diatriba serrata in un continuo rovesciarsi di
fronti e di accuse, porta la madre alla convinzione che la
figlia era una terrorista vera e non una bambina caduta ingenuamente
in una trappola, allo stesso modo la figlia allenta le difese
e dal mutismo iniziale comincia a trapelare qualcosa del suo
sé intimo e sconosciuto. Il processo di conoscenza
reciproca avviene attraverso un chiasmo lento, doloroso ed
esasperante: il risultato uno spettacolo bello, vibrante ed
emozionante.
[matteo
burioni]