Nell'ambito del
progetto: “La terra sonora. Il teatro di Peter
Handke” a cura di: Valentina Valentini e Francesco
Fiorentino in collaborazione con: SCUOLAROMA - coordinamento
Daria Deflorian con il contributo di: Centro Teatro
Ateneo | Sapienza Università di Roma | Università
Roma Tre – Dipartimento di Lingue, Letterature
e Culture straniere | Istituto Italiano di Studi Germanici
| Forum Austriaco di Cultura di Roma | Goethe Institut
| Teatro Biblioteca Quarticciolo.
Si dice che Kaspar
Hauser fosse il figlio del granduca Carlo di Baden
e della sua amante Stefania Beauharnais, e che fosse
stato rapito dalla vedova del granduca con lo scopo
di assicurare la successione ai figli. Si dice anche
che Kaspar sia vissuto come un vagabondo e che sia
morto in seguito a una ferita. Della misteriosa morte
non è certo che si sia trattato di omicidio
o di suicidio, fatto sta che la vicenda ha ispirato
registi e romanzieri. Peter Handke nel 1968 ha preso
spunto dalla vicenda per elaborare “Kaspar“,
un testo teatrale di rottura, come quelli che avevano
caratterizzato la produzione nell'epoca della sperimentazione
minimalistica.
Nella mise en
espace di Wener Waas e Tony Clifton Circus “Kaspar“
conserva il tratto fondamentale attribuito da Handke,
di uomo inconsapevole, sul quale grava pesantemente
la parola: il linguaggio, secondo Handke, sarebbe
un'imposizione sull'uomo da parte di un sistema che
lo manipola e lo costringe a comportarsi in un modo
“sociale”; forse, spinge a pensare Handke,
l'uomo da solo non avrebbe questa esigenza. Più
che una riflessione sull'omologazione cui l'umanità
è stata sottoposta sin dall'epoca della rivoluzione
industriale, il focus è sul dubbio dell'esigenza
di un codice comunicativo fatto dal linguaggio che
conosciamo. La nostra coscienza interiore potrebbe
non averne bisogno. E allora nello spazio scenico
Kaspar è un uomo dalla coscienza “vuota”
che subisce le parole che gli arrivano dall'alto;
è ingenuo e inconsapevole e nella sua goffaggine
autistica pronuncia a ripetizione un'unica frase:
«Io vorrei diventare un tale come già
un altro fu». Poi, gradualmente, le parole lo
bombardano, lo circondano, lo torturano e lo riempiono,
fino a che si adegua a diventare come tutti gli altri.
Werner Waas e Tony Clifton
Circus lo rappresentano con una capacità espressiva
e immaginifica sorprendente: la scansione ritmica
della parola è costante e presente lungo tutta
la messa in scena. Le immagini che si susseguono,
nate dall'ingegnosa fantasia dei tre esilaranti interpreti,
sono varie e alternate con maestria. Il progetto “La
terra sonora. Il teatro di Peter Handke” è
un contenitore che raccoglie seminari, letture, spettacoli,
laboratori, traduzioni e pubblicazioni. L'intento
è di attirare l'attenzione di studiosi, artisti
e pubblico sulla produzione teatrale di Handke che,
dopo il successo degli esordi in Italia alla fine
degli anni Sessanta, è stata rimossa, nonostante
lo scrittore austriaco abbia continuato ad avere una
fertile attività.
[giovanna gentile]