Borkman è un brillante
banchiere, incorso in un fallimento finanziario di grandi
dimensioni. Scontati otto anni di carcere, decide poi di rinchiudersi
nella sua stanza, per altri otto. Unico amico che, nel corso
del tempo, è ammesso nella sua casa è Foldal;
entrambi sono creatori di qualcosa d’irrealizzato: il
primo si sente castrato artefice di un futuro di progresso,
il secondo autore incompreso di un testo mai pubblicato. Intorno,
l’amore delle due sorelle, gemelle, entrambe innamorate
di Borkman – ma solo una delle due sua legittima moglie
– che cercano, ognuna a proprio modo, di conquistarsi
l’amore del giovane figlio Erhart. Massimo Popolizio
è il perno di tutto lo spettacolo: quando non è
fisicamente sul palco, si attende, impazienti, la sua importante
e fondamentale presenza. Quando si destreggia, finalmente
in scena, con la mimica che gli è propria, nel ruolo
del banchiere, la pièce respira della sua maestria.
In un allestimento volutamente
semplice del regista Piero Maccarinelli, le vicende e le parole
scorrono senza intoppi. Le conversazioni, a metà tra
serio e faceto, tra Borkman-Popolizio e Foldal-Avogadro sono,
senza dubbio, il momento più riuscito dell’intero
spettacolo.
Fluidi movimenti sulla scena
vanno a comporre in diverse circostanze veri e propri quadri,
che regalano eleganza visiva al geniale testo di Ibsen.
[patrizia vitrugno]