Quando
una compagnia sceglie un teatro dove il palcoscenico
è al livello del terreno, sceglie una modalità
precisa di raccontare una storia, dove lo sguardo degli
attori si rivolge verso l’alto. Segno che la volontà
è di mettersi a nudo, completamente.
Siamo in terra di Sicilia
e lo sguardo che arriva, diretto e immediato fino
alle ultime file della sala, è quello di Giovanni.
La sua è la storia dell’ingenuità
fatta individuo, di un animo gioioso e vulnerabile
che si offre al mondo senza veli. La realtà
con la quale si confronta è quella disperata,
degradata e bigotta di un contesto che non lascia
spazio alle fragilità e che, violentemente,
si accanisce sulla sua candida omosessualità.
Rosalia, cugina e compagna di giochi e di vita, accogliente
e passionale nella fragile e abbondante fisicità,
è mamma e sorella. Lo protegge e insieme lo
consegna nelle braccia del primo amore e carnefice:
Giuseppe. Giovanni, che prima «mai niente con
nessuno aveva fatto», s’innamora di quest'uomo
rude e meschino che, come tanti, non riesce a indirizzare
la vita, nata sotto il segno della fuga da una realtà
famigliare incestuosa. Entra nell'intimo l'ingenuità
di Giovanni. Entra piano, a dispetto dei toni subito
diretti e si attacca disperata all'anima. La realtà
quotidiana di un uomo innamorato, come un dolce odore
di zagare, scava nella volontà di chi guarda,
finché non costringe alla resa e allora vince
la tenerezza.
Arriva al cuore il lavoro
del giovane talento Joele Anastasi, attraverso una
recitazione cruda e diretta. La scenografia è
resa essenziale dai pochi oggetti in scena: un vestito
da sposa all’uncinetto e un rossetto rosso fuoco
che Giovanni si spalma male sulle labbra, per diventare
la “femmina” di Giuseppe. Nell’atmosfera
scarna l’elemento scenografico fondamentale
è la luce, che delimita gli spazi fisici e
mentali dei tre personaggi. Nota di merito al bravissimo
Enrico Sortino che costruisce Giuseppe, tirandolo
fuori dal non facile stereotipo del macho siculo e
lo lascia vivere sulla scena, crudo e vero. Ruolo
che gli è valso il premio come Migliore Attore
al Roma Fringe Festival 2013.
La
compagnia Vuccirìa Teatro al suo esordio consegna
al pubblico un concetto di teatro vero, intimo e diretto.
L’intento è di porre lo spettatore di
fronte all’interrogativo sul senso profondo
del nostro agire, sulla possibilità di guardarci
dentro andando fino in fondo, con onestà. Con
merito, lo spettacolo ha ricevuto numerosi riconoscimenti
(Miglior Spettacolo, Miglior Drammaturgia e Miglior
Attore al Roma Fringe Festival 2013) e rappresenterà
l’Italia al New York Fringe Festival 2014, dopo
aver calcato non pochi palcoscenici italiani. [giovanna
gentile]