L'amore
di un padre per il figlio e viceversa. Un rapporto
ancora poco raccontato, poco indagato; forse a causa
del modello che inibisce l'esternazione dell'emotività
nel rapporto uomo a uomo. Eppure le nostre vite sono
intrise dell'amore per i nostri padri e per i nostri
figli, per il coraggio che ne traiamo di stare al
mondo. Con “L'invisibile
che c'è” Paolo Triestino
porta in scena il racconto delicato di un amore immenso:
sul palcoscenico dà vita alla relazione di
un padre con il figlio nel momento più ingiusto
e innaturale che ci possa essere: quello della perdita
del più giovane. È uno stato d'animo
ad essere rappresentato, quello di quando tutto scorre
fluido, come il modellino di un trenino elettrico,
fino a che qualcosa nel meccanismo perfetto si inceppa;
allora tutto diventa complicato e anche percorrere
pochi metri sembra impossibile. Merito va all'autore
Antonio Grosso, in grado di attribuire sfumature sensibili
al testo per un tema che rischiava di cadere nella
banalità.
Delicata l’interpretazione
di tutti: a Gennaro Cannavacciuolo, nei panni del
padre, il merito di aver creato un personaggio amorevole,
fragile nella sua onirica lucidità e tenue
nell'amore per il figlio. Antonio Grosso che, oltre
ad essere autore, sul palcoscenico è il figlio,
lo interpreta con la giusta innocenza: perso e impaurito
per la nuova condizione chiede aiuto al padre, si
rifugia in lui, ma poi scosso dal dolore che provoca,
lo conforta e continua ad avvolgerlo di quell'amore
che non sparirà.
Enzo
Casertano e Antonello Pascale, i vicini di casa, rispettivamente
padre e figlio, con la maestria dei commedianti dell'arte
donano alla rappresentazione la giusta comicità
che sfocia in picchi di poetica drammaticità.
A Roberta Azzarone, la fidanzata siciliana, il compito
di nutrire della giusta grazia la messa in scena.
Triestino consegna al pubblico un'opera delicata che
allevia la drammaticità di un dolore immenso.
[giovanna gentile]