“Non lo sai che le cose che desideri tanto,
arrivano quando non le desideri più?”.
E’ questa la battuta che racchiude l’essenza
de L’intervista,
ultima delle nove opere prodotte da Natalia Ginzburg
per il teatro. Lo sa bene Ilaria una strabiliante,
ironica e stralunata Maria Paiato, compagna di Gianni
Tiraboschi un uomo di potere, studioso affascinante,
scrittore e politico che, però, sulla scena
non vedremo mai.
È il 1978 e Ilaria è seduta sulla sua
logora poltrona quando Marco Rozzi, un giovane giornalista,
ingenuo e spiantato, arriva nella vecchia casa di
campagna in Toscana: vuole intervistare Tiraboschi
ma non lo trova. Dall’incontro con Ilaria scaturisce
una comunicazione che appare leggera, svagata, ma
che a tratti, misteriosamente, diventa intensa e profonda.
Ne nasce una cena povera e improvvisata, un’amicizia
e persino un accenno di storia d’amore tra Rozzi
e Stella, la giovanissima sorella di Tiraboschi (in
scena Azzurra Antonacci, ancheggiante ma poco convincente).
Dopo circa un anno, avverrà un altro incontro
simile: di nuovo Tiraboschi non si fa trovare, ma
sarà occasione che riavvicinerà i due
protagonisti. Un nuovo incontro carico di parole,
immagini, ricordi, ma anche intriso dal bisogno di
non perdersi nei discorsi.
L’intervista è
la scena finale. Sono passati dieci anni, Tiraboschi
è richiuso nel suo studio in una cupa inerzia.
Marco non è più un aspirante giornalista,
è diventato un autore televisivo, si è
prima sposato e poi separato, ha una bambina e la
sua ex moglie è morta. La vita lo ha reso grigio,
triste non solo fuori: il suo è un vuoto interno,
amaro. Non ha più alcun motivo d’intervistare
Tiraboschi, eppure la vita ha intrecciato inevitabilmente
e dolorosamente le loro strade.
La doppia prova di Binasco, attore e regista, è
degna del testo; afferma che “questa è
una splendida commedia di chiacchiere e i suoi sono
personaggi ritratti con vera maestria psicologica
e scenica, con una vita intensa nascosta sotto le
battute fiume. Abbiamo scelto di lavorare sulla recitazione
– continua Binasco – rendendola vibrante
e sensitiva, in modo di dare un senso nuovo alle parole
che diventano fulminee e guizzanti, cariche di elettricità
come note di Mozart”.
[patrizia vitrugno]