Torna
il teatro civile. Fabrizio Gifuni torna al teatro
Valle e lo fa presentando, raccontando e interpretando
testi che permettono sia di mettere in evidenza la
sua bravura recitativa, sia di uscire dalla sala in
uno stato di inconsapevole lucidità. Ne è
un esempio “L'ingegner
Gadda va alla guerra (O della tragica istoria di Amleto
Pirobutirro)", in scena fino al 14 novembre.
Qui, come in "'Na specie
de Cadavere lunghissimo" che torna dopo
5 anni a ridisegnare gli spazi del Valle dal 17 al
21 novembre, l'attore è diretto e manovrato
da Giuseppe Bertolucci. Sul palcoscenico Gifuni è
solo: ad aiutarlo nell'analisi della Prima Guerra
Mondiale per arrivare fino all'era mussoliniana c'è
solo una sedia. La trasformazione attoriale avviene
attraverso l'utilizzo degli essenziali costumi: stivali
marziali, una giacca borghese e in evidenza la tipica
maglia verde militare.
Ma
se per tre quarti dello spettacolo la platea cerca
di immedesimarsi in quello che oramai può definirsi
un passato lontano, nell'ultima parte è il
presente, inaspettatamente, a prendere il sopravvento.
Con la classica verbosità e ricchezza espressiva
gaddiana (che mette a dura prova un seppur partecipativo
e consapevole Gifuni), il testo e l'attore creano
uno scarto tra passato e presente che lascia increduli.
Con uno scarto recitativo imponente, il protagonista
'esce' dalla parte, strania lo spettatore diventando
se stesso e insieme Gadda: Gifuni crea una cesura
netta con il testo interpretato fino a quel momento
e spiega, con lucidità e minuzia linguistica
cosa si nascondeva dietro la politica di Benito Mussolini.
Alla fine resta l'immagine dei tacchi. Negli applausi
appare un Gifuni sfinito, prosciugato ma appagato.
A volte una recensione non serve. Bisogna provare
per credere. [valentina
venturi]