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Autore:
liberamente
ispirato alla Divina Commedia di Dante Alighieri |
Regia:
Romeo Castellucci |
Scene,
costumi, luci: Romeo Castellucci
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Musiche:
Scott Gibbons |
Sculture
di scena, meccanismi e prosthesis: Istvan
Zimmermann e Giovanna Amoroso |
Produzione:
Socìetas
Raffaello Sanzio, Festival d’Avignon |
Interpreti:
Alessandro
Cafiso, Maria Luisa Cantarelli, Elia Corbara, Silvia Costa,
Sara Dal Corso, Manola Maiani, Luca Nava, Gianni Plazzi,
Stefano Questorio, Silvano Voltolina e tutti i figuranti
che di città in città si aggiungeranno alla
gente |
Anno
di produzione:
2008 |
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VIE
Scena Contemporanea Festival, promosso da Emilia Romagna
Teatro, è l’unico Teatro Stabile che
attraverso un festival supporta le nuove realtà
del palcoscenico, operando una reale politica di sostegno
fatta di coproduzioni, di ospitalità e di presentazioni
delle prime nazionali, e non una semplice vetrina-ghetto
fine a sé stessa, come avviene in altre parti
d’Italia. Uno degli eventi del festival è
stato sicuramente la prima (e unica) rappresentazione
italiana della nuova produzione della compagnia teatrale
nostrana più famosa al mondo. È giunta
al Teatro Comunale di Modena, dopo il successo avignonese
di luglio, l’ultima fatica di Romeo Castellucci
e della sua Socìetas Raffaello Sanzio: la trilogia
ispirata alla Divina Commedia dantesca. Il testo per
antonomasia, il più difficile tra gli allestimenti.
Durante VIE è stato presentato Inferno
(Purgatorio e Paradiso in seguito): l’Inferno
personalissimo della Raffaello Sanzio, scevro da interpretazioni
del testo originale e trasudante di attualità.
“Essere Dante, assumere il suo atteggiamento
come all’inizio di un viaggio nell’ignoto”,
afferma Castellucci nel programma di sala. È
forse per questo che il regista stesso entra in scena
all’inizio dello spettacolo sentenziando le
parole: “Mi chiamo Romeo Castellucci”,
prima di farsi sbranare dai pastori tedeschi (ha una
tuta speciale protettiva). Dopo il prologo, fanno
il loro ingresso decine di figuranti (che ritorneranno
durante tutto lo spettacolo): sono gli abitanti della
Terra e dell’Inferno, vestiti con colori pastello,
che eseguono lentissime coreografie. È il modo
con cui Castellucci manda tutti e tutto all’Inferno:
le famiglie con i loro rapporti di amore e odio, gli
anziani, gli amanti e i tradimenti, le violenze ma
anche i giochi dei bambini (altamente simbolica è
una palla presente in scena che diventerà il
leitmotiv di tutto lo spettacolo).
Dentro una gabbia-specchio (altro input: l’Inferno
siamo anche noi), piccolissimi bambini giocano felici,
mentre un’entità astratta, una macchia
nera enorme scende su di loro ignari: è forse
l’immagine più angosciante e più
forte dello spettacolo. Dopo il mostro nero dalla
straordinaria forza evocativa, arriva un piccolo spiraglio
di speranza: in scena entra un cavallo bianco, simbolo
di candore, di purezza. Verrà macchiato completamente
da vernice rosso sangue. Mentre risuonano le stupende
architetture musicali di Scott Gibbons, storico collaboratore
di Castellucci, in bilico tra elettronica e canti
gregoriani, si assiste ad un’altra scena evocativa:
il suicidio di massa di tutti gli abitanti, che dall’alto
si gettano di sotto. La morte suicida e l’Inferno,
ovvero la definitiva fine della speranza che si consuma
sulla scena. A riprova ecco i necrologi con i nomi
degli attori scomparsi (“A voi, attori della
Socìetas Raffaello Sanzio, che avete recitato
con noi e ora non siete più”). Il finale
è onirico e ironico: un omaggio ad Andy Warhol,
il principe dei voyeur. Castellucci manda all’Inferno
anche il voyeurismo della nostra società: lo
spettacolo finisce con un clone di Warhol che scatta
foto con la Polaroid, mentre alcune televisioni cadono
dall’alto frantumandosi.
Ideale successore della Tragedia Endogonidia (ciclo
di 11 spettacoli ispirati al modello classico greco
messo in scena dalla Socìetas dal 2004 al 2006),
questo Inferno, che rappresenta la summa castellucciana,
stupisce per la forza delle immagini che scorrono
e per l’impatto visionario. Lo spettacolo avrà
una tournée mondiale affascinante (Corea, Francia,
Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti ecc.) ma in Italia
non lo vedremo più. Peccato, chissà
quanta gente avrebbe ancora stupito da Torino a Palermo.
[simone pacini]
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