Scelta azzeccata
quella di Rodolfo di Giammarco: mettere in scena corti
(o sketch teatrali per usare il termine preferito
dal regista Massimiliano Farau), con attori e attrici
neodiplomati all’Accademia Nazionale d’Arte
Drammatica “Silvio D’Amico”. Diciotto
storie di oggi in cui si affrontano i rapporti di
coppia, tra madre-figlio, di lavoro, la crisi economica
italiana e gli impatti sulle relazioni sociali.
L’idea di
un cantiere di scrittura e collaudo “Officina
teatrale” è efficace: attrici e attori
di una prestigiosa Accademia di recitazione escono
dalle aule e si cimentano nel fare, in una terra di
mezzo, una sorta di ponte per il mare aperto teatrale.
Alcuni frammenti
restano impressi: la madre-padrona (Carlotta Mangione)
in “La domenica dopo la messa”; lo sviluppo
interno del figlio sottomesso (Massimo Odierna); il
tremore che si intravede sotto la sottoveste di Ottavia
Orticello, autentico, forte; la prova d’attore
di Marco Morana in “Tappone”; l’abilità
sfrontata di Marco Palvetti in “1. Distruggere
Eccezioni, 2. Mantenere la media” (titolo forte).
I testi sono più interessanti quando non sono
logorroici e le pause si alternano a dialoghi vivaci
(“La domenica dopo la messa” di Maria
Luisa Usai e “1. Distruggere Eccezioni, 2. Mantenere
la media” di Davide Proietti, forse non a caso
scelti per l’apertura e la chiusura della rassegna).
Colpisce vedere la collaborazione ai cambi di scena.
Attori, riuscirete a mantenere la tensione individuale
e lo spirito collettivo oppure domani litigherete
per una battuta in più o una maggiore visibilità?
Conservare lo
spirito di gruppo è la vera sfida: c’è
bisogno di costruire un nuovo spazio collettivo teatrale,
senza buonismi o utopie, con sano spirito competitivo
e la voglia di mettere le mani in pasta, con l’idea
di un percorso professionale in sviluppo che apra
la porta a nuovi stimoli e nuove possibilità.
[deborah ferrucci]