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Regia:
Sasha
Waltz |
Coreografia:
Sasha Waltz |
Scene:
Thomas Schenk e Sasha Waltz |
Costumi:
Christine Birkle |
Luci:
Martin Hauk |
Musiche:
Franz Schubert |
Produzione:
Schaubühne
am Lehniner Platz Berlin |
Danza
e coreografia: Maria
Marta Colusi, Juan Kruz Diaz de Garaio Esnaola, Luc Dunberry,
Michal Mualem, Claudia de Serpa Soares, Yael Schnell,
Xuan Shi |
Anno
di produzione:
2004 |
Genere:
danza |
In
scena:
27/9/2008, Auditorium della Conciliazione di Roma |
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Pubblico
delle grandi occasioni all’Auditorium della
Conciliazione, per la serata inaugurale di Romaeuropa
Festival e di Tersicore, la stagione di danza contemporanea
dell’Auditorium stesso (l’unica romana).
L’ospite d’onore è la quarantacinquenne
Sasha Waltz: in Italia sarebbe una giovane coreografa,
in Europa è da anni un punto di riferimento
nel panorama del Tanztheater.
A Roma sbarca con Impromptus
(2004), uno spettacolo poetico, personalissimo e distante
dalle produzioni classiche dell’artista di Karlshrue.
Non a caso, è la prima coreografia basata su
un repertorio classico: gli Impromptus (Improvvisi)
e i Lieder di Franz Schubert. La scelta si rivela
azzeccata, la musica – eseguita al piano e cantata
dal vivo – esalta gli stati d’animo che
i ballerini manifestano, visto che tocca a loro il
compito di illustrarla con audacia e passione. I silenzi
tra un brano e l’altro servono a sottolineare
certi movimenti corporei tra i quali spiccano i due
duetti simultanei, dove i ballerini si arrotolano
tra di loro attaccandosi corpo a corpo e sfidando
le leggi di gravità. Poesia pura. C’è
spazio anche per scene corali ad effetto: una corsa/rincorsa
liberatoria e una serie di movimenti da robot/manichini
che stupiscono per la loro imperfetta sincronizzazione.
Lo spazio, geometrico e irregolare, disegnato da Thomas
Schenk, si mette al servizio della danza. Gli interpreti,
veri e propri personaggi espressionisti nella miglior
tradizione dell’arte contemporanea tedesca,
costruiscono la seconda parte della coreografia: ballano
sulla vernice (rosso sangue e nero inchiostro) in
un crogiuolo di corpi seminudi che richiamano da un
lato l’action painting americano, dall’altro
la body art. Nel finale un bagno purificatore esorcizza
l’incubo (malattia? manicomio?) e mentre la
musicista chiude il piano e se ne va (per poi tornare)
si assiste alla rinascita della danza, della vita.
Fuori dai confini narrativi, arte del ventunesimo
secolo a tutti gli effetti. Una grande serata di danza
contemporanea, Roma ne meriterebbe più spesso.
[simone pacini]
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