Nel film di Francis
Ford Coppola “Il
Padrino” (1975) un pluripremiato
cavallo da corsa viene decapitato e la testa viene
lasciata durante la notte nel letto del proprietario:
un regista hollywoodiano di successo, colpevole d’aver
rifiutato un’offerta di Don Corleone. Nessuno
però fino ad oggi si era mai messo nei panni
dei due scagnozzi incaricati dalla famigghia, nel
compiere l'infausto gesto. Prova a farlo Damon Lockwood,
autore dell'atto unico ”Horse Head”, vincitore
del Roma Fringe Festival 2012.
I protagonisti
sono i fratelli Edmondo (Diego Migeni), un attore
fallito che sta perdendo stima di sé e Filippo
(Yaser Mohammed), picciotto tormentato il cui nome
significa drammaticamente amante dei cavalli. Siamo
nella California del 1945 e i due decidono di accettare
l’irrifiutabile offerta dell’innominabile
famigghia per garantirsi un avvenire e farsi strada
nella malavita. Un percorso non privo di piccoli drammi
e grasse risate per i protagonisti, che per giungere
all'obiettivo prefissato devono superare i loro limiti,
affrontare i propri demoni e riscopre la propria celata
personalità.
“Horse
Head” è un patchwork
citazionista, che pesca a piene mani nella cultura
cinematografica italo-americana omaggiando e mettendo
alla berlina registi (Francis Ford Coppola, Martin
Scorsese e Brian De Palma), icone (Robert De Niro,
Al Pacino e Joe Pesci) e pellicole di genere, attraverso
battute, riferimenti, atmosfere, colori e musiche.
La coppia di protagonisti si divide abilmente i ruoli
della coppia comica: Diego Migeni - una lontana somiglianza
fisica con un giovane De Niro - è l'ottima
spalla, la miccia che accende la comicità di
Yaser Mohammed, che grazie al forte accento siculo
del protagonista - sebbene in alcune parti sin troppo
simile ad Aldo Baglio del trio Aldo, Giovanni &
Giacomo -, è il perno comico e drammaturgico
di una commedia condotta ad un ritmo recitativo vertiginoso,
con battute a raffica e giochi di parole, seppur talvolta
troppo reiterati.
Nonostante la
scena di un interno di una squallida camera di albergo,
con foto di Marlon Brando appese alle pareti, la commedia
è una girandola di eventi ed accadimenti, che
travolgono lo spettatore senza lasciargli il tempo
di pensare all’improbabilità delle situazioni.
Assurdo e demenziale: sono i poli di una pièce
ricca di idee, ma compresse in un arco temporale così
stretto da soffocarne diverse sul nascere. È
un peccato, perché lo spettacolo, grattando
la superficie comica che lo copre, riesce a gettare
uno sguardo ironico e compassionevole sulla natura
umana così combattuta tra l’essere e
l’apparire.
[fabio melandri]