Il
fazzoletto è un fiore bianco che cresce grazie
alla luce della luna, proviente da un buco nel soffitto.
Otello vive il sogno d’amore con Desdemona nell’oscura
protezione di un bunker, al riparo dalla vita reale.
La realtà è un sottofondo costante,
fatto di spari e bombe che esplodono. Fuori la guerra
imperversa, ma Otello e Desdemona coltivano il loro
amore proprio come si coltiva un fiore, giorno dopo
giorno.
Hell è un’altra
storia del moro di Venezia, un racconto diverso riadattato
da Francesco Giuffrè con l’attore Riccardo
Scarafoni (un camaleontico Iago) e di cui cura anche
la regia. Il suo Otello non è nero; il suo
Otello è un sovrano anziano, tanto vecchio
quanto perdutamente innamorato (un bravo Mauro Mandolini
che regala un “Moro” diverso, più
intimo). L’amore contro natura è il pensiero
che Iago fa lentamente intrufolare nella mente del
re. Desdemona ha vent’anni, la freschezza e
l‘ingenuità tipiche di quell’età.
Il tarlo della gelosia, nello spettacolo di Giuffrè,
prende le sembianze dell’immoralità:
sotto accusa non è il tradimento, ma l’amore
innaturale di un vecchio per una ragazzina.
Scomporre un testo di Shakespeare non è un’impresa
facile. Rielaborarlo e attualizzarlo senza dissacrarlo
è operazione che riesce a pochi. Giuffrè
di sicuro è tra quei pochi che hanno coraggiosamente
affrontato questa sfida, vincendola. Hell
può contare su un cast omogeneo e affiatato.
Giorgio Marchesi è perfetto nei panni di Michele
Cassio: passa dall’eccitazione alcolica che
gli fa dire parole sconvenienti, alla supplica implorante
del perdono quando è in gioco la sua vita.
Desdemona ha il viso di Federica De Cola: vivace e
innamorata, alle volte forse un po’ troppo civettuola,
ma dotata della grazia dei vent’anni. La muta
Emilia è Marta Nuti, custode del fiore che,
coi suoi silenzi, sottolinea i momenti clou dell’intera
vicenda.
Molto belle le scene di Paki Meduri, che si fondono
coi costumi di Roberta Orlando e le luci di Gianluca
Cappelletti. L’insieme è suggestivo e
un po’ naif: sono lontane le stanze del palazzo,
i fasti della reggia. Tutto è semplice e insieme
ridondante. Un adattamento originale, che pecca alle
volte di troppi simbolismi, ma che in un’ora
e mezzo concentra l’essenza assoluta di Shakespeare.
Senza rimpianti. [patrizia
vitrugno]