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Anno
2013
Genere
tragedia
In
scena
fino al al 3 marzo 2013 al Teatro Ambra Garbatella
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Autore |
Massimiliano
Perrotta con consulenza storica di Mattia Feltri |
Regia |
Massimiliano
Perrotta |
Interpreti |
Roberto
Pensa, Andrea Di Giovannantonio, Barbara De Blasio (danzatrice) |
Produzione |
Color
Teatro |
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Impresa
ardua trovare la giusta distanza dalla storia politica di Bettino
Craxi, in esilio in Tunisia. Ancora più difficile farne
uno spettacolo teatrale. Si aprono molteplici strade: un racconto
malinconico del ‘re è solo’, un ritratto
arrabbiato del volgo che getta le monetine all’hotel Raphael
di Roma o un ritratto moralistico. Lo spettacolo “Hammamet”
di Massimiliano Perrotta percorre la prima via: ritrae Craxi
in uno studio, davanti a uno scrittoio con un telefono, la bandiera
rossa del giornale di partito “L’Avanti” sullo
sfondo nero. Viene in mente il romanzo di Stendhal “Il
Rosso e il Nero”: il nero clericale e il rosso della vita
militare, la morte e la vita. Vincitore del Premio Giacomo Matteotti
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il monologo scorre
fluido, intervallato dal racconto del testimone Andrea Di Giovannantonio
(un giudice? Un giornalista?), da una ballerina (l’ottima
Barbara De Blasio) accompagnata dalle note di un soprano, quasi
a suggerire che la vita e la morte, l’arte e il potere
danzino insieme. Possibile?
Il Craxi teatrale (Roberto Pensa)
spiega di amare l’Italia, di essere stato limitato dai
poteri realmente forti (Stati Uniti e Russia) che finanziavano
i partiti italiani, di aver aumentato la spesa pubblica per
accrescere gli investimenti per lo sviluppo del Paese, che
le tangenti erano necessarie dato che fare politica costava
cara. Craxi si lamenta di aver pagato più di altri,
di aver fatto da capro espiatorio per tutti e giustifica il
suo ritiro (o fuga) ad Hammamet con il profondo desiderio
di «libertà che è vita per me».
Umanamente condivisibile, al racconto manca però un
aspetto fondamentale: il senso di responsabilità, l’atto
finale che riscatti una reputazione. Non esiste essere umano
senza macchia, ma si può cambiare il finale di una
storia personale sopportandone le conseguenze, affrontando
il momento storico, un tribunale o l’opinione pubblica.
Resta un finale sospeso,
come non scritto, un senso d’incompiutezza, quasi che
Tangentopoli non sia stata ancora archiviata. Forse è
così, ci vuole la giusta distanza per osservare questo
pezzo di storia senza pre-giudizi. Attori in parte, regia
fluida e in chiaroscuro, monologhi asciutti. Spettacolo difficile
ma necessario, per provare a capire la storia recente d’Italia,
a cui va il merito di essersi confrontato con un argomento
scomodo e opportunisticamente rimosso.
[deborah ferrucci]
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