Come
ci racconta il regista lituano: "Hamlet è
l'opera più attuale dei nostri tempi. In un
primo momento il dubbio di Amleto ci sembra assurdo.
La nostra esistenza è così agiata e
il futuro sembra quasi garantito ma, il senso di sicurezza
può essere molto pericoloso. In realtà
il futuro deve essere trovato dentro ciascuno di noi
e non in slogan politici o in annunci pubblicitari.
Bisogna squarciare il velo che ci nasconde la vita,
dobbiamo lacerare la nostra esistenza apparentemente
sicura. Il passato sta ‘programmando' il nostro
futuro. Noi crediamo di essere sfuggiti agli orrori
di ieri e cerchiamo di evitare le sfide di oggi e
di domani. Abbiamo un profondo bisogno di auto analisi,
per capire ciò che ci circonda e che decisioni
prendere per vivere.
Il
mondo è diventato come Gertrude: troppo intelligente,
troppo scaltro, troppo calcolatore. Le generazioni
di oggi vivono in un'illusione erotizzata, femminile,
di che cosa sia la realtà. Definirei questa
generazione la "Generazione di Gertrude".
È
un Hamlet che chiede agli attori di recitare come
se fossero dinanzi ad uno specchio. Nello stesso momento
in cui ci osserviamo attentamente riflessi al nostro
cospetto ci rendiamo conto di quanto poco apparteniamo
a noi stessi. In realtà è un altro che
ci guarda: qualcuno più reale di noi. Un estraneo
che è sconosciuto quanto il destino di ciascuno.
Il vettore di tale sguardo ha una precisa direzione
all'inizio di una tragedia, che termina con le storie
di Edipo, Oreste ed Amleto. Recitare come se si fosse
dinanzi ad uno specchio, significa essere quanto più
onesti possibili verso se stessi. Il teatro inizia
con lo specchio del camerino e, più precisamente,
dallo sguardo degli attori intenti a guardarsi. Hamlet
non vince la propria lotta, ma sopravvive al proprio
presente nel modo più completo. È impossibile
recitare Amleto, così com'è impossibile
ricostruire Elsinore, poiché essa non è
mai esistita. Tuttavia, toccare con mano il proprio
presente, aprire le porte alla propria Elsinore, così
come andare alla ricerca di un teatro amletico, che
funziona come una trappola per topi per la nostra
realtà interiore, è possibile.
In
scena linee essenziali: tavoli con specchio da camerino
mobili sono a volte assemblati a formare un monolito
sinistro, in altri casi disseminati sul palcoscenico,
a volte sistemati a caso, altre volte in modo da formare
precise forme geometriche come un cerchio, oppure
linee parallele o linee intersecanti. E tutto ha inizio
con gli attori che guardano le proprie immagini riflesse
nello specchio chiedendosi: "Chi sei tu?".
Una valanga tonante di suoni che non attendono una
risposta o che non desiderano ascoltarla.
Oskaras
Korsunovas