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Anno
2012
Genere
drammatico
In
scena
in turnè
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Autore |
William
Shakespeare |
Adattamento/Traduzione |
Vincenzo
Manna,
Andrea Baracco |
Regia |
Andrea
Baracco |
Scene |
Arcangela
di Lorenzo |
Costumi |
Mariano
Tufano |
Luci |
Javier
Delle Monache |
Interpreti |
Giandomenico
Cupaiuolo, Roberto Manzi,
Aurora Peres,
Lucas Waldem Zanforlini, Livia Castiglioni,
Gabriele Portoghese |
Produzione |
Benvenuti
srl e Lungta Film in collaborazione con Teatro di Roma |
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Ventitré
è il numero della congiura. Intorno è buio. Le
tenebre avvolgono il tempo della macchinazione e dell’ideazione,
del timore e della rabbia. Nell’alternarsi di tre vecchie
porte che si incrociano sul palco, si creano le scene che racchiudono
la storia degli ultimi giorni di vita di Giulio Cesare, la cui
figura non compare mai, ma la cui ombra campeggia su tutti i
protagonisti. È nei discorsi, nelle menti, nelle azioni.
La ritroviamo come genesi di tutto e come fine ultimo. Il lucido
Cassio (Roberto Manzi) e il tormentato Bruto (Giandomenico Cupaiuolo),
ridisegnano l’ora del complotto. Tra di loro, in uno scambio
di gesti e pensieri, Casca (Lucas Waldem Zanforlini), il primo
a pugnalare Cesare, personaggio misterioso e dannato.
Nello scorrere del tempo viviamo
l’avvicinarsi dell’atto estremo, organizzato nei
dettagli, ansiosamente bramato nella veglia notturna di Bruto.
L’attenta e originale regia di Andrea Baracco seleziona
accuratamente i momenti da rappresentare. La lettura che il
regista fa, assieme a Vincenzo Manna, è una lettura
nuova della tragedia, una visione che lascia sul fondo il
protagonista e che porta in primissimo piano l’azione
delittuosa. Ciò che c’è dietro, da chi
è animata, in che modo. Le donne che girano attorno
a Cesare, dalla moglie Calpurnia (Aurora Peres), a Porzia
(Livia Castiglioni), moglie di Bruto.
E poi c’è il buio.
Il buio è Roma: decaduta, corrotta, intimamente sporca.
A tratti alcune lampadine, azionate dagli stessi attori, si
accendono e si spengono, quasi a seguire il flusso dei pensieri
ora privati ora pubblici che animano il gesto. E nel buio
le Idi di marzo si compiono puntuali: il tempo del pensiero
è passato. Ora c’è l’azione, composta
da ventitré linee rosse tracciate sulla grigia e consunta
poltrona di Cesare. Infine c’è Marc’Antonio
(Gabriele Portoghese), e il suo elogio funebre che vibra potente
a scuotere gli animi.
Il “Giulio
Cesare” di Baracco è un susseguirsi
di immagini forti, di trovate originali che gli permettono
si rileggere la congiura e i congiurati in chiave moderna.
Perfetto l’equilibrio tra i personaggi, che portano
in scena corpi leggeri e atletici. Le atmosfere cupe danno
forza al dubbio che assale nell’ora dell’attesa;
sottolineano la tragicità di una città che si
è persa; permeano la brutalità del gesto. Uno
spettacolo intenso per emozione e intenzione.
[patrizia vitrugno]
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