Jon
Fosse e Valerio Binasco sono assieme per la terza
volta. Dopo Qualcuno arriverà
e La notte canta, è
il momento di Un giorno d’Estate
che ha debuttato l’11 novembre al Teatro Piccolo
Eliseo Patroni Griffi di Roma in prima nazionale.
Binasco sceglie ancora la tenerezza dei personaggi
di Fosse, scrittore norvegese considerato da molti
l’erede di Ibsen.
Quella raccontata è la storia di un amore che
vorrebbe essere assoluto e totalizzante: una coppia
di amanti (interpretata da Sara Bertelà ed
Emiliano Masala), sceglie il distacco dal caos della
società, consacrandosi a una vita in cui il
binomio “Io e Te” sia autarchico. La ricerca
della felicità, che può essere raggiunta
solo attraverso l’amore, l’unica cosa
per cui valga la pena vivere, finisce per rivelare
però solo un grande isolamento. I personaggi
sono fondamentalmente soli e la malinconia è
sempre dietro l’angolo, pronta a ingoiare ogni
speranza di appagamento. Nel fiordo isolato in cui
abitano, il progetto vedrà la sua fine e l’idillio
sarà rotto per sempre.
In una scena minimalista, gli attori si muovono in
un andirivieni di passato e presente: il flusso dei
ricordi procede scansionato da lunghi monologhi della
donna da anziana, un‘intensa e rassegnata Elena
Callegari che fissa dalla finestra il mare, lo stesso
che tanti anni prima le aveva portato via l’uomo
che amava. La finestra è il punto di congiunzione
tra ieri e oggi, il mare non si vede ma è l’origine
e la fine di tutto.
Tutto sembra sospeso, nell’attesa che qualcosa
accada. La tragedia che si compie si legge gradualmente
negli occhi della donna che sa, ma che non vuole accettare.
La speranza resta sempre vigile, come lo sguardo che
si perde al di là della finestra. L’angoscia
della fine e l’incertezza sul futuro sono resi
da una recitazione monocorde, senza enfasi, che caratterizza
l’intera compagnia. Nessuno degli attori compie
gesti plateali, anche il dolore è vissuto con
grande dignità.
L’allestimento è curato fin nei minimi
dettagli: siamo di fronte, senza dubbio, a uno spettacolo
di qualità. Tuttavia non ci sono elementi di
spicco o idee particolarmente brillanti. È
come se tutto si svolgesse su una retta, che sappiamo
essere dritta e che non possiamo definire piatta.
Lo spettacolo di Binasco è così: procede
senza scossoni, senza picchi. Ma alla fine, ed è
questo il suo merito, lascia una sensazione di angoscia,
di melanconia. La stessa di cui sono vittima i protagonisti.
[patrizia
vitrugno]