“Il
timore reverenziale che nutro per la gigantesca figura
di Samuel Beckett, rende difficile il tentativo di
redigere qualche nota sul “mio allestimento”
di Giorni felici. Da quando ero un’allieva dell’Accademia,
desidero interpretare Winnie di Giorni Felici. Una
delle poche, forse la più forte spinta ad invecchiare,
è stata raggiungere quel… “cinquantenne”
richiesto dal testo. Finisco per infilarmi in un buco,
inghiottita nel terreno, in uno spazio desolato, in
un tempo fermo, nei giorni di Winnie, affaccendata
a riempire il tempo tra il campanello del giorno e
il campanello del sonno, con i gingilli della sua
grossa sporta nera. Le viscere sepolte e poi prolassate
in una gabbia che tuttavia la “protegge”
dal mondo circostante, dal nulla che la sovrasta e
la comprende. In questa condizione terminale che,
in qualche momento della nostra esistenza appartiene
certo a tutti noi, Winnie diventa dunque portavoce
di un’umanità sfinita e disfatta che
tuttavia si accanisce ad esistere, a resistere, a
dire tutte le parole che ci sono da dire, a identificarsi
con quelle, per riempire il silenzio, per sottolineare
il silenzio, per abbellire la propria fine. In questa
esaltante ricerca dell’oro, ficcata dentro un
buco, bloccata fino al collo, aspettando la Fine della
Partita, voglio proprio vedere se riesco a mantenere
le promesse e… le parole! Oh quello sì
sarà un giorno felice!”.
Con questi ragionamenti Anna Marchesini, nel duplice
compito di regista e interprete, descrive il testo
di Beckett e il ruolo di Winnie, una donna sepolta
viva (prima fino ai fianchi, nel secondo atto fino
al collo) dentro una buca, in grado solo di seguire
la ritualità delle ore, di curare i pochi oggetti
personali a sua disposizione e di ascoltare la campana
stridula che scandisce il giorno dalla notte; suono
che le permette di esclamare l’arrivo di “un
altro giorno divino”.
Samuel Beckett nel 1961 recupera il convenzionale
“dramma di conversazione” e lo svuota
da tutte le componenti espressive, trasformandolo
in un pallido riflesso della misera condizione umana.
La Marchesini, anche se eliminando alcuni passaggi
testuali, ripropone attraverso le scarne scene di
Carmelo Giammello il senso di avvilimento, di perdita,
di smarrimento fisico e culturale proprio dell’opera
beckettiana. [valentina
venturi]