Ultima
opera teatrale scritta da Pirandello, “I
giganti della Montagna”, narra il viaggio
della compagnia teatrale della Contessa verso la Villa
di un paesino sperduto di montagna per rappresentare
un’opera teatrale. La scena è un quadro
metafisico, un non luogo, in cui vivono isolati dal
mondo il mago Cotrone e il gruppo degli scalognati,
pronti ad accogliere la compagnia della Contessa e
a raccontare le loro ombre interiori.
La
compagnia teatrale e il gruppo del mago si incontrano,
si parlano, rappresentano i loro fantasmi. La storia
non è importante, anche se il pubblico si chiede
cosa accadrà. Il rombo di un tuono, la cavalcata
dei giganti della montagna, il dramma di Ilse e la
Contessa (Ester e Maria Cucinotti), protagonista della
“Favola del figlio cambiato”, opera pirandelliana,
personificazione del doppio Io, reale-teatrale. Nella
regia del duo Vetrano-Randisi gli attori a volte sono
dei fantocci, delle maschere pirandelliane, che prendono
vita grazie ai fantasmi che albergano nell’animo
umano; a volte sono dei tableaux vivants che si muovono,
come in una scena cinematografica, a rallentatore.
Ogni personaggio ha urgenza di raccontarsi, perché
su quel palcoscenico trova il coraggio di farlo.
Il
teatro nel teatro ricorre spesso nelle opere di Pirandello,
ricordandoci che non vi è nulla di più
reale della finzione. “Il vero mestiere è
credere nel gioco”, dice il Mago Cotrone, l’ottimo
Enzo Vetrano, burattino/burattinaio che con le braccia
alzate muove i fili dei personaggi che lo circondano,
li fa vivere, li illumina della luce del palcoscenico,
impone le mani come un direttore d’orchestra
che stabilisce le pause.
I
dialoghi a volte sono troppi lunghi e le parti più
belle sono le scene mute e i dialoghi del mago Cotrone,
deus ex machina come Prospero nella “Tempesta”
di Shakespeare. È il burattinaio, il drammaturgo,
il perno intorno al quale si muovono i personaggi,
loro frammenti di vita che si illuminano sotto i riflettori,
si animano come delle schegge impazzite.
Questo
spettacolo ci ricorda che il teatro è magia,
specchio catartico, consolazione agli affanni degli
esseri umani, come dice Peter Brook nella sua opera
“Warum Warum”.
[deborah
ferrucci]