L’esercito
americano ha identificato una “sindrome”
che colpisce quei soldati che esorcizzano il terrore
della guerra trasformando la paura in passione, amando
violentemente, in alcuni casi uccidendo il compagno
di sempre o magari solo di una notte o di un attimo,
quello in cui l’unica salvezza che sembra plausibile
è abbandonarsi all’impeto. GAY PANIC,
appunto. E la drammaturgia non poteva farsi sfuggire
un tema tanto ricco quanto carico di idee. Riccardo
de Torrebruna (attore, scrittore e autore teatrale
vincitore nel 1996 del premio “Enrico Maria
Salerno” per la drammaturgia con un testo intitolato
"Zoo Paradiso"), ne ha scritto una piece
(presentato per la prima volta, in forma di Lettura
Scenica, nell’edizione 2006 della rassegna di
teatro omosessuale Garofano Verde), che porta il nome
della sindrome e che vorrebbe raccontare e descrivere
le gioie, le paure e le sensazioni.
Procediamo con ordine. Il testo è ispirato
a un fatto realmente accaduto nel corso di un turno
di guardia durante la guerra in Iraq (maggio 2004,
base militare di Ad Dawr), tra Daniel, marine americano
e Zaggam, giovane recluta irachena della rifondata
Guardia Nazionale (interpretati da Andrea Gherpelli
e Simone Spirito). I due rappresentano tesi e antitesi
della stessa guerra e questo rende ancora più
forte il senso di amicizia prima e di tormentata passione
poi. Praticamente taciuta dagli organi di stampa,
la notizia non ha trovato eco finché non è
stata scoperta tra i carteggi della giustizia militare
americana e pubblicata da un giornale del North Carolina,
il "News & Observer".
Sebbene i presupposti lascino immaginare un testo
fatto di parole forti, cariche di amore, per la patria,
per la famiglia o per un’idea, il linguaggio
della piece è volutamente spoglio. Ma, nonostante
lo sottolinei De Torrebruna stesso, non ci si spiega
perché un tema così pieno di “sotto
testo” venga riprodotto con parole più
vicine a luoghi comuni che alla sfera drammaturgica.
Migliori i monologhi dei dialoghi, che si riducono
in una banale altalena di battute, per arrivare al
“fatto”. La pacatezza nel raccontare questa
sindrome piena di tormento, passione e dramma si riscontra
anche nella regia curata dallo stesso autore.
Gli attori, seppur bravi, sono costretti a una recitazione
monotona e priva di tensione, qualsiasi forma di attrito
e dissidio sembra sepolta sotto i sacchi di sabbia
che simulano la torretta. Le pochissime musiche utilizzate
sono dell'irachena Aida Nadeem. Sembra che testo e
regia non sfruttino la forza dell’argomento,
c’è un mondo dietro al Gay Panic e ci
avrebbe fatto piacere percepirlo.
[emiliana palmieri]