«A me interessa
la vita, di Frida Kahlo», commenta una spettatrice
alla fine dello spettacolo. E in effetti è
una grossa responsabilità decidere di fare
uno spettacolo teatrale di un personaggio carismatico
e popolare come è la pittrice messicana. Scegliere
la forma del monologo è ancora più complesso
(se ne vedono tanti a teatro, sicuramente forme drammaturgiche
più gestibili da piccole compagnie), perché
richiede un testo scritto in modo accurato e un’interpretazione
intensa da parte degli attori: elementi necessari
per compensare l’assenza della relazione sulla
scena. Forse è anche specchio dei tempi, della
difficoltà delle persone a confrontarsi e della
gran voglia di parlarsi addosso.
Della vita di Frida Kahlo si sa tanto, tutto, la sua
vita stessa era teatrale. Compagna del fedifrago Diego
Rivera, che la tradirà anche con la sorella,
un grave incidente che segnerà il suo corpo
per sempre, il dolore che diventa arte nei suoi quadri.
Cosa aggiungere, cosa scoprire di nuovo?
Maria Grazia Adamo
mostra venerazione per l’artista che interpreta,
ma non è Frida, la racconta come se raccontasse
una favola, non la vive da dentro, ma dal di fuori,
mostra il ghigno o autocompiacimento, ma non sente.
Il finale è sfumato, la trama inciampa, scene
e costumi sono semplici e belli. Forse andrebbero
rimescolate le carte: Frida Kahlo da sola non basta.
[deborah
ferrucci]