Fino
al 20 Settembre è in scena al Teatro Dell’Orologio
I Fili di Penelope, scritto e interpretato da Tiziana
Scrocca. Penelope mitica regina di Itaca fila la tela
senza sosta, da sola, per ingannare il tempo nell’attesa
del ritorno del suo sposo Ulisse.
Tesse
la tela, che disfa ogni notte, perché solo
così può raccontare ed immaginare le
imprese di Ulisse, solo così può mantenerlo
in vita e dare un senso alla sua esistenza, alla bellezza
che sfiorisce e alla promessa del ritorno. Tesse con
pazienza il mantello, si tiene impegnata e finché
sarà intenta il tempo le siederà accanto,
si fermerà per ascoltare le gesta da lei narrate.
E così il mantello dell’eroe, diviene
il testo su cui scrivere la storia, un libro che ogni
giorno cambia
volto: il teatro della battaglia, la nave che si perde
tra i flutti impetuosi scatenati dall’ira di
Poseidone, il gorgo mortifero di Scilla e Cariddi
o la benigna ospitalità dei Feaci.
Penelope
tesse senza sosta immaginando gli eventi che trattengono
il suo re, inventando le mille peripezie e le donne
che lo hanno accolto, dando ogni sera una spiegazione
diversa del perché Ulisse non sia ancora tornato.
Ma Penelope sa che Ulisse tornerà e perciò
continua a tessere e disfare: fin quando lui non giungerà
a casa, la storia non sarà finita. Accanto
a lei una sedia, vuota, su cui si siede il tempo,
o la solitudine notturna che l’assedia e tormenta,
la sedia su cui l’eroe, tornato poggerà
le sue stanche membra.
La credevano pazza, o forse troppo saggia, ma Penelope
aveva ragione: Ulisse ritorna, solo che non è
l’eroe tanto atteso, è un sopravvissuto
alla guerra svuotato e sfibrato, smunto ed emaciato,
che non vuole raccontare.
Ecco
perché Penelope continua a narrare le sue gesta
sulla tela: perché la memoria deve restare,
sarà pur accaduto qualcosa che i posteri devono
conoscere, perché la guerra è orribile
e non va dimenticata.
I
Fili di Penelope è un testo pluripremiato intriso
di impegno civile. Come accade in un racconto orale
anche il linguaggio è schietto, semplice ed
incalzante, fatto di ripetizioni e di gesti che scandiscono
e sottolineano la drammaticità della narrazione;
allo stesso modo la musica è parte integrante
della vicenda, ne sillaba ogni minuscola sfumatura
e ne ritma la tensione drammatica.
Su
un palco spoglio, dominato sul fondo da una pesante
ragnatela di fili, Tiziana Scrocca si trasfigura in
Penelope, l’emblema dell’attesa, la sua
sapiente pragmaticità non racconta imprese
leggendarie che glorificano l’eroe ma le inestricabili
traversie del genere umano che lotta, cade, si rialza
e ritorna, la cui necessaria memoria viene incastona
tra i nodi della tela. [paola
di felice]