L'attesa
è il sale della vita. O anche la sintesi. Anna,
Ida e Ines ne sono l'incarnazione: chi aspetta un
figlio, chi il figlio, chi entrambi. In un pomeriggio
d'estate le tre donne (Alessandra Paoletti, Barbara
Folchitto e Maria Grazia Laurini) attendono con ansia
la partenza per le vacanze, ingannando il tempo tra
cruciverba, confessioni e ricordi. Legate reciprocamente
e indissolubilmente, le protagoniste finiranno per
confessarsi le reciproche debolezze, facendo i conti
con un passato ormai troppo ingombrante e l'ipotesi
di un futuro diverso, nuovo, indipendente. A legarle
il concetto di figlio e, recondito, il bisogno di
amore. Il professore (Alessandro Federico, coi suoi
ottimi tempi) è esattamente questo: una figura
appena abbozzata, poco definita, usata quasi solo
per dare un minimo di azione alla storia che prosegue
senza sussulti. Fino ad un finale che lascia interdetti,
perché ridondante nella sua ovvietà.
Nato dal progetto la "Casa della Drammaturgia"
che ha sede, appunto, nel Teatro Vittoria, "Il
figlio" ne ha aperto la stagione 2010/2011. L'allestimento
è semplice e funzionale, nulla è lasciato
all'immaginazione. Musiche praticamente assenti, se
si escludono scampanellate interne e esterne che si
susseguono ritmicamente.
Paolo Zuccari firma una regia asettica del testo della
giovane autrice Serena Guardone, che lancia molti
input, ma non ne approfondisce nessuno. E così
fa la regia: si tiene distante, non interviene (non
si comprende se volutamente o meno), lascia raccontare.
Ma il racconto non ha forza e, forse, idee registiche
di un certo livello - come Zuccari ne ha avute in
passato - avrebbero potuto risollevare le sorti dello
spettacolo che resta, quindi, in fase embrionale.
[patrizia
vitrugno]